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Gli anni della speranza

<<Va bene, adesso l'Italia à tutta vostra>> aveva detto nel suo manifesto il luogotenente generale William D. Morgan, comandante supremo alleato nello scacchiere del Mediterraneo. Era l'1 gennaio 1946, anche le province del Nord — tranne quelle di Udine, di Gorizia, di Bolzano e, beninteso, tranne Trieste — tornavano sotto l'amministrazione italiana. Da tre settimane al governo c'era Alcide De Gasperi, democristiano, che aveva sostituito Ferruccio Parri, del partito d'azione ed esponente di quel Comitato di liberazione che aveva condotto la lotta armata contro il fascismo e contro il tedesco. Il cambiamento sarebbe stato decisivo per gli avvenimenti futuri, ma al momento pochi sembravano accorgersene, anche perchè nel governo restavano pur sempre tutte le forze antifasciste: compresi i socialisti (con Pietro Nenni vicepresidente) e compresi i comunisti (con Palmiro Togliatti ministro di grazia e giustizia).

Anche se l'ultimo contingente angloamericano si imbarcherá soltanto il 14 dicembre dell'anno dopo, la restituzione all'Italia delle regioni settentrionali era sembrata un grande avvenimento. Ma alla soddisfazione si accompagnavano anche gravi preoccupazioni per il futuro. In un paese a pezzi — e così era l'Italia dopo cinque anni di guerra — il problema del vettovagliamento era angoscioso. Ancora nel 1946, le calorie giornalmente disponibili per abitante (borsa nera a parte) erano 1.800 appena, contro le 2.700 del periodo 1936-1940. A tamponare queste vitali necessità dovevano bastare gli aiuti dell'Unrra, l'organizzazione delle Nazioni Unite (in realtà approvvigionata dagli americani) per i primi soccorsi ai paesi disastrati dal conflitto. A dirigerla c'era un dinamico senatore americano di origine italiana, popolare per essere stato per molti anni sindaco di New York: Fiorello La Guardia. Un giorno del febbraio 1946, De Gasperi era costretto a rivolgersi a lui con un drammatico appello personale: l'Italia aveva farina per due settimane appena, senza un immediato rifornimento la razione di pane, già scarsa con i suoi duecento grammi quotidiani, avrebbe dovuto essere ridotta sotto i limiti dell'inedia. La Guardia ordinava subito dirottamento di alcuni ingenti carichi di cereali.

E' un'Italia, questa che riemerge, ancora lacerata dai morsi della guerra, eppure pervasa in molti suoi strati da un'accesa aspirazione di totale rinnovamento. Lo «spirito del '45>> soffia alimentato dal «vento del Nord: sono espressioni dell'epoca per indicare la volontà di edificare una società nuova sulle rovine morali di quella vecchia. A ostacolare queste aspirazioni si oppongono le forze conservatrici e quelle moderate, che faranno sentire il loro peso quando, il 2 giugno 1946, gli italiani saranno finalmente chiamati alle urne per decidere fra monarchia e repubblica e per eleggere l'assemblea che dovrà dare al paese una nuova costituzione). La repubblica finirà col prevalere, però con uno scarto non grandissimo di voti. La Costituente potrá incominciare il 25 giugno i suoi lavori, che concluderà il 22 dicembre dell'anno dopo con l'approvazione, in un'atmosfera di grande entusiasmo — trascinata da un gruppo di garibaldini dell'Argonne, ospiti d'onore, tutta l'assemblea intonò in coro l'inno di Mameli —, della Costituzione che tuttora, bene o male applicata, regge l'Italia. Uno dei momenti più salienti del grande dibattito, durato più di un anno, era stato quello sull'articolo 7, che prevedeva l'esplicito riconoscimento dei Patti Lateranensi. Togliatti, inaspettatamente, aveva annunciato il consenso dei comunisti, affermando che <<la classe operaia non vuole una scissione per motivi religiosi>>.

La presa di posizione di Togliatti si rifaceva a una realistica valutazione del momento. Cosi come quando era ministro di grazia e giustizia aveva promosso, in nome della pacificazione nazionale, un'amnistia i cui maggiori beneficiari erano stati i sostenitori del passato regime (ma in Sicilia l'indulto aveva rispedito a casa le centinaia di giovani che si erano dati alla macchia per sostenere l'indipendenza dell'isola). In realtà la posta in gioco era molto alta. A orientare le sorti dell'Italia si profilava ormai chiaramente lo scontro fra le potenze occidentali e l'Unione Sovietica. Nel marzo del '46, Winston Churchill (sconfitto alle elezioni nel luglio dell'anno precedente e quindi non più alla guida della Gran Bretagna) aveva tenuto un discorso a Fulton, nel Missouri, presente il presidente degli Stati Uniti Harry Truman, accusando l'Urss di avere imposto la propria tirannia sull'Europa orientale, <<nascondendosi dietro una cortina di ferro>>. A questo discorso si vuole attribuire l'inizio della <<guerra fredda>> fra i due schieramenti di nazioni. Il contrasto delle superpotenze deciderà anche il nostro futuro. Molto peso negli avvenimenti italiani di questo periodo ha la commissione alleata di controllo, guidata dall'ammiraglio Ellery Stone.

Nel gennaio del '47 De Gasperi, avvertendo, solo all'ultimo momento persino il suo ministro degli esteri, che era Pietro Nenni, si portava da solo negli Stati Uniti dopo un avventuroso volo su un vecchio Skymaster. A Washington il premier italiano concordava un prestito di cento milioni di dollari con la Export-Import Bank e otteneva preziose forniture di materie prime a prezzi agevolati. Ma soprattutto tornava rafforzato per quella che sarebbe stata la sua successiva azione: l'estromissione dei socialcomunisti dal governo. Il 5 giugno 1947 il segretario di stato americano George Marshall pronunciava a Harvard un discorso in cui proponeva un piano di aiuti americani alle nazioni sconvolte dalla guerra. Si trattava di un'abile mossa che favoriva sia le nazioni beneficiarie, sia gli stessi Stati Uniti, preoccupati di mantenere l'alto livello produttivo raggiunto (il reddito medio pro capite era aumentato del 50 per cento rispetto al 1938). Mentre i paesi dell'Est rifiutavano l'offerta che era stata loro estesa, l'Italia accettava il piano assieme a tredici altri paesi. Gli aiuti che ci verranno elargiti (in totale più di due miliardi di dollari) si riveleranno essenziali per la ripresa. Una ripresa che consente di raggiungere nel 1950 il livello produttivo di dieci anni prima, estendendolo a settori nuovi che avranno larghe ripercussioni sociali.

E' di questo dopoguerra l'introduzione del ddt, che in tre anni realizza la totale bonifica d'una piaga secolare come la malaria. Zone inabitabili -- in Sardegna, sull'Adriatico, lungo le coste tirreniche — vengono ricuperate per quello che sarà domani il turismo di massa. Il nailon apre la gamma delle fibre sintetiche, che sin dal 1947 incominceranno a venire prodotte nel nostro paese. La penicillina compare a sua volta in questi anni, dando un notevole contributo al miglioramento della situazione sanitaria. Ormai l'Italia ha fatto le sue scelte politiche, che le elezioni del 18 aprile 1948 ribadiranno definitivamente e che l'accettazione del Patto Atlantico confermerà sul piano internazionale. I fermenti che le speranze del dopoguerra avevano acceso si fanno sentire in numerosi campi: nella letteratura, nella stampa, nel cinema, nelle arti, nel costume. Il Premio Viareggio 1947 è assegnato a Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, il leader comunista morto in prigionia dieci anni prima. Anche se selezionati in base a criteri di contingente opportunità, i trentadue quaderni pubblicati riveleranno che la cultura italiana, e non soltanto quella marxista, dovrà fare i conti con Gramsci L'assegnazione del riconoscimento suscita polemiche (l'anno prima il <<Viareggio>> era andato al poeta triestino Umberto Saba), ma la polemica è nell'aria ovunque, come segno evidente d'una libertà che si vuole difendere. Polemiche suscita il nuovo cinema neorealistico, quello di Visconti, di Rossellini, di De Sica); polemiche la rivista diretta dallo scrittore Elio Vittorini Il Politecnico; polemiche il Fronte nuovo delle arti, che raggruppa pittori e scultori (Guttuso, Birolli, Morlotti, Vedova, Fazzini, Cassinari...) legati da una comune volontà di rinnovamento ma divisi da basilari contrasti che porteranno nel '48 alla scissione tra realisti sociali ed espressionisti astratti. E' un momento di grande fervore creativo. A Milano muove i primi passi il Piccolo Teatro di Paolo Grassi con un memorabile Arlecchino servitore di due padroni diretto da Giorgio Strehler. Eduardo De Filippo esibisce alcuni dei suoi capolavori: Napoli milionaria è del '45, Questi fantasmi e Filumena Marturano sono del '46. La stampa quotidiana vive una sua vita incerta e avventurosa, tra l'altro alle prese con la scarsità di carta che finirà per condizionarla pesantemente anche nei contenuti. I giornali escono a quattro pagine (4 lire) nel '46 e a sei pagine (venti lire) nel '50. Gli <<indipendenti>> prevalgono nettamente, come diffusione, su quelli di partito. Non mancano gli avvenimenti che fanno clamore. I Diari di Galeazzo Ciano compaiono a puntate e sono il best seller del 1946. Poi c'è la cronaca.

La notte tra il 22 e il 23 aprile 1946 un gruppo di fanatici neofascisti trafuga dal cimitero milanese di Musocco la salma di Mussolini (verrà ritrovata, 112 giorni più tardi, alla Certosa di Pavia). II banditismo imperversa, ma la gente, divisa in innocentisti e colpevolisti, segue con partecipazione il processo che porterà alla condanna, nel '47, del maestro Arnaldo Graziosi (la moglie, Maria Cappa, era stata trovata uccisa in un albergo di Fiuggi; il marito si dichiarerà sempre estraneo). Farà egualmente scalpore, nel '48, un tipico delitto dei quartieri alti: la contessa Pia Bellentani fulmina, a Villa d'Este di Como, il suo amante Carlo Sacchi. Orrore per un altro delitto: a Milano Rina Fort si dichiara responsabile della strage della famiglia del suo amante dopo che stava già per essere rilasciata: nell'infilare il cappotto per andarsene aveva rivelato una macchia di sangue. Due altri tragici eventi che commuovono: nel '47 quarantaquattro bambini muoiono ad Alassio (erano in coIonia, la barca che li portava in gita era affondata); nel '48, cinquantotto italiani sono trucidati a Mogadiscio. Infine, è il 1950, c'è un suicidio clamoroso: lo scrittore Cesare Pavese si toglie la vita in un albergo di Torino. Aveva appena ricevuto il Premio Strega per La bella estate. Se i quotidiani stentano a trovare la loro strada di penetrazione tra il pubblico, i settimanali si affermano subito come fenomeno tipicamente italiano (si arriverà al primato di 33 lettori ogni cento abitanti). Chiaramente in queste valutazioni vengono inclusi periodici come Grand Hotel, un fenomeno del dopoguerra. Ma anche la Domenica del Corriere riprende su alte cifre di tiratura, mentre si avvia un certo genere di rotocalco, destinato ad avere molta fortuna, i cui capostipiti sono Oggi e L'Europeo. Qualche anno più tardi si dovranno segnalare Il borghese di Leo Longanesi e Il Mondo di Mario Pannunzio. Epoca incomincia a uscire nel 1950. Una storia a sè merita Candido, diretto da Giovanni Guareschi e da Giovanni Mosca (poi dissociatosi), le due colonne del Bertoldo prebellico. Guareschi, arroccato su posizioni monarchiche e di fiero anticomunismo, raggiungera notorietà internazionale quando le settimanali avventure dei suoi personaggi Peppone e don Camillo saranno raccolte in volume (traduzioni in venti lingue) e portate sullo schermo (da Julien Duvivier). Dall'America, con le truppe d'occupazione, era arrivato uno scatenatissimo ballo, it boogie-woogie; dalla Francia ci arriva la moda del <<new-look>>, inventata dal sarto Christian Dior e lanciata in uno storico défilé il 17 febbraio 1947. Le sottane sono più lunghe di venti centimetri e spiovono da una vita sottilissima. In America, il new-look ha contro le autorità ancora preposte (e la cosa preoccupa) alla produzione bellica: ma non sono altro che il braccio armato del potente trust della confezione, verranno sconfitte. In Italia la nuova moda dilaga, come simbolo di una ritrovata gioia di vivere. La stessa che la gente va a cogliere nei teatri dove si esibiscono Wanda Osiris, Macario, Rascel, Dapporto, Walter Chiari...; e nei cinema dove un grande comico è troppo spesso avvilito in mediocri film: Totò. Da Parigi è giunto in Italia anche qualcosa d'altro. E' una filosofia. Si chiama esistenzialismo, ha il suo santone in Jean-Paul Sartre.

 

 

 

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Ultimo aggiornamento:  24-02-09