La zona flegrea è così chiamata dal latino «phlegraei»
che significa ardente, pieno di calore e di fuoco.
La denominazione latina, proveniente a sua volta
dall'altra greca, vuole indicare una zona vulcanica.
Prendiamo la via Domitiana lasciando a destra Agnano
e dirigiamoci verso
Pozzuoli.
Prima di arrivare in paese troveremo sulla sinistra
la Chiesa di San Gennaro, che fu costruita nel 1580
nel luogo dove si racconta fosse giustiziato il
santo.
Parlando del miracolo di San Gennaro, abbiamo già
accennato che in questa chiesa si conserva la pietra
sulla quale il santo fu decapitato, che ha alcune
macchie sbiadite di sangue le quali diventano di
color rubino nello stesso momento in cui nella
cappella del tesoro di San Gennaro nel Duomo di
Napoli avviene il miracolo della liquefazione nelle
ampolle. Attualmente questa chiesa è officiata da
frati cappuccini.
Prima di entrare nella cittadina di Pozzuoli,
l'antica « Puteoli », troveremo a destra
l'Anfiteatro Flavio della seconda metà del primo
secolo d.C, che, con un asse longitudinale di 149 mt.
e il transetto di mt. 116 poteva ospitare ben 40.000
spettatori.
Tre ordini di arcate costituiscono l'esterno e la
cavea ha tre ordini dei quali due sono divisi da
scalette; nei suoi sotterranei c'è una fitta rete di
corridoi e cellette in una delle quali si racconta
che furono imprigionati San Gennaro e i suoi
compagni, condannati ad essere divorati dalle belve
feroci : questa cella fu poi trasformata in una
cappella dedicata al santo patrono napoletano.
Questo anfiteatro, costruito al tempo di
Vespasiano, è il più grande conosciuto dopo il
Colosseo e quello di Santa Maria Capua Vetere : esso
rimase per molto tempo sepolto sotto i detriti
dell'eruzione della Solfatara, finché nel 1839
furono iniziati gli scavi sotto la direzione
dell'architetto Bonucci. Attualmente è ancora in
restauro e vi sono stati intrapresi importanti
lavori sin dal 1946.
Pozzuoli ha anche un altro anfiteatro
chiamato minore, del quale sono ancora
visibili circa una diecina delle arcate che
sostenevano la curva della cavea:
di età augustea, è anteriore a quello Flavio e si
ricorda che vi furono effettuati spettacoli in
onore di Tiridate, re d'Armenia, nel 66 d.C.
Poco più avanti sulla destra troveremo la Solfatara,
che è il cratere di un vulcano attivo ma allo stato
quiescente: il luogo è così chiamato perché la fase
di attività del vulcano è appunto « di solfatara ».
Il cratere, di forma ellittica, nel suo asse
maggiore misura 770 mt: da numerose buche esce fumo
e calore e in alcune si può vedere fango bollente.
La cittadina di Pozzuoli non ha opere d'arte sulle
quali valga la pena di soffermarci, mentre vanta
monumenti archeologici di inestimabile valore;
questo centro, che si vuole fondato nel VI secolo
a.C. da cittadini di Samo, fu infatti in epoca greca
e romana il più importante della zona flegrea.
Quando la Campania fu conquistata dai romani nel 338
a.C, la cittadina conservò la sua importanza poiché
i romani sfruttarono il suo porto, del quale
rimangono ancora degli avanzi a pilastri e ad archi.
Di notevole interesse è il cosiddetto Tempio dì
Serapide, così chiamato dal nome di una statua di
Serapide che vi fu trovata, mentre in effetti sembra
che fosse un mercato pubblico o un « macellum ».
Questo monumento è importante anche perché da esso,
che nei secoli alternativamente è stato sommerso o è
emerso dalle acque del mare, si son potuti misurare
i fenomeni di bradisismo della zona. Ne restano
alcune colonne in cipollino grigio ed al centro una
cella semi-circolare : costruito al tempo dei
Flavii, si ritiene che misurasse dall'ingresso al
fondo 75 metri con una larghezza di mt. 58. Fu
restaurato sotto l'impero degli Antonini o dei
Severi, essendo stato danneggiato dal terremoto del
62 d.C.
Di notevole interesse è anche l'Antiquario flegreo,
messo a posto nel 1953 in uno stabilimento termale
del periodo borbonico. Vi si conservano sculture,
marmi ed epigrafi; attigua ad esso vi è la stazione
geofisica dell'Università per lo studio dei
fenomeni bradisismici. Il Museo è costituito da una
sala d'ingresso, da un corridoio e da nove sale di
esposizione, nelle quali le cose più interessanti
sono un magnifico frammento di pavimento scoperto
presso l'anfiteatro di Cuma, una testa colossale di
Giunone e tra le epigrafi e le iscrizioni marmoree
quella relativa ai restauri eseguiti nel porto per
volere dell'imperatore Antonino Pio.
Portandoci in piazza della Repubblica, seguiamo la
via del Duomo e quindi un vicolo per visitare la
Cattedrale, dedicata a San Proculo, protettore di
Pozzuoli.
Costruita nell'XI secolo sugli avanzi di un tempio
pagano edificato dall'architetto Cocceio in onore di
Augusto ed a spese di un ricco mercante chiamato
Lucio Calpurnio, fu rifatta nel 1643, ma conserva
delle interessanti colonne corinzie dell'antico
tempio romano. In questa chiesa è sepolto il
musicista Giovan Battista Pergolesi, che morì a
Pozzuoli. L'interno, ad unica navata, vantava
alcune opere di rilevante interesse come un
Crocifisso di Cesare Fracanzano nella prima cappella
a destra, una Adorazione dei pastori dello stesso
autore sul coro, una Adorazione dei Magi di
Artemisia Gentileschi, e l'Arrivo di San Paolo a
Pozzuoli di Giovanni Lanfranco. A sinistra vi era
San Gennaro sull'arena dell'anfiteatro ancora della
Gentileschi e un Santo che predica di Massimo
Stanzione : sull'altare maggiore il Martirio dì San
Gennaro, da alcuni attribuito a Giovanni Enrico
Schoenfeld. Vi sono altre opere di minor valore, ma
i dipinti di cui abbiamo parlato sono
temporaneamente in deposito presso il Museo di
Capodimonte ed ignoriamo se e quando verranno
riportati ai loro posti.
Per via Vecchia San Gennaro si può giungere poi alla
Piscina Cardito, un grande serbatoio romano
costituito da due cisterne delle quali la più grande
è lunga 55 mt., larga 16 e profonda 15, con la volta
sorretta da 30 pilastri, e l'altra è costituita da
14 vasche intercomunicanti che dovevano servire per
ottenere una distribuzione di acqua purificata e
pulita. Molto importante è anche la necropoli di
Pozzuoli, che ha inizio dopo la porta della città:
molti colombari a due e a tre piani si susseguono
per la via Campana, che i romani chiamavano «
consularis Puteolis Capuam ». Da notare inoltre in
questa cittadina la Torre del Palatium, nel
rione della Torre, la Torretta dì Don Pedro de
Toledo, costruita per desiderio di questo
viceré, e la Torre di Santa Chiara. Per
l'antica via Herculanea vi sono i ruderi di un
circo e quelli della
Villa di Cicerone; è interessante poi la visita
del Lago d'Averno dove Virgilio nel suo poema
volle porre la porta degli Inferi.
Anche l'alveo di questo lago è un cratere ed il suo
nome sembra derivi da « Aorum », cioè senza
uccelli. Vipsanio Agrippa per unirlo all'altro lago
di Lucrino e quindi al mare vi fece scavare un
canale che per effetto del bradisismo nei secoli si
alterò; nel 1855, poi, Ferdinando II ne ordinò la
riapertura.
In questi pressi vi è la Grotta di Cocceio,
che portava a Cuma ed era lunga circa un chilometro.
Dal Lago di Lucrino, il cui nome proviene da «
Lucrum », per i guadagni che procurava ai romani la
coltivazione delle ostriche e delle spigole, si
possono vedere le famose stufe di Nerone
scavate nel tufo, che si possono anche raggiungere
tramite un fratturo non sempre, però, percorribile.
Nei pressi vi è quanto rimane del Tempio di
Venere e della Villa di Gneo Pompeo Magno.
Raggiungiamo quindi
Baia,
che fu così chiamata perché secondo la leggenda vi
trovò sepoltura Baios, un compagno di Ulisse.
Anche questa cittadina è passata alla storia per le
sue sorgenti termali, per le sontuose ville che i
ricchi romani vi avevano costruito e perché fu
residenza di Augusto e di Alessandro Severo: essa
era unita a Pozzuoli per un ponte di barche che fu
costruito da Caligola. Secondo la tradizione in
questo ameno luogo di villeggiatura, verso le sponde
del Lucrino, Agrippina terminò i suoi giorni
tragicamente. I fenomeni di bradisismo e quelli
eruttivi hanno distrutto molti dei monumenti che vi
erano in questa zona; tuttavia i lavori di scavo
ripresi nel 1941 hanno potuto accertare che le
maggiori opere di questa antica cittadina erano
costituite da stabilimenti termali che erano stati
invece erroneamente ritenuti templi dedicati a
Diana, Mercurio e Venere. La zona archeologica è
attualmente sistemata a parco, e a volte di sera è
illuminata. Dietro la piccola stazione ferroviaria,
vi sono delle terme a pianta ottagonale chiamate
volgarmente Tempio di Diana: di qui si possono
raggiungere le Terme baiane, di epoca imperiale
romana, un complesso costituito da tre edifici con
al centro la terma di Sosandra. Baia fu un centro
termale molto rinomato e l'efficacia delle sue acque
ci è stata tramandata da Livio e da Orazio.
Dove oggi sono i cantieri navali, poi, Nerone aveva
fatto costruire due grandi vivai per la
coltivazione delle ostriche e di pesci pregiati; da
qui, salendo, si giunge al Castello, quadrato, che
fu costruito sulle rovine del Palazzo dei Cesari
nella metà del secolo XVI, per difesa.
Attualmente è sede di un orfanotrofio per i figli
dei caduti del mare.
Il nostro itinerario ci porta poi a
Bacoli
dove verso il mare vi è il Sepolcro di Agrippina.
Il nome di questa cittadina proviene dall'antico «
Bauli », ricco di ville nell'epoca repubblicana, che
vennero demolite durante l'impero. Ricordiamo le
cento canterelle, un insieme di serbatoi
costituiti da due serie di ambienti sovrapposti di
epoche diverse che hanno al piano superiore una
grande cisterna del I secolo d.C. costituita da
quattro corridoi paralleli. Sull'altura
prospiciente vi era la Villa dei Flavi, in
origine di Quinto Ortensio, poi di Antonia, di Druso
e poi di Nerone. Per una via dedicata a Sant'Anna si
giunge alla Piscina Mirabile, che deve
ritenersi la più grande cisterna del periodo romano,
per una capacità di circa 12.000 me di acqua:
questo immenso bacino a torma rettangolare fu
scavato nel tufo al termine dell'acquedotto del
Serino perché le navi ancorate a Miseno potessero
approvvigionarsi di acqua.
Riprendendo la nostra strada giungiamo a
Miseno,
dove vi è un lago chiamato Mare Morto che è invece
in comunicazione col piccolo porto, anch'esso un
cratere del gruppo « dei crateri di Miseno », che
doverono formarsi dopo quelli insulari di Procida,
Ischia e Vivara.
Miseno è così chiamato dal nome dell'araldo di Enea
che si vuole fosse qui sepolto. Il suo porto sin
dall'epoca greca era utilizzato sia per ragioni
miiltari sìa per commercio, tanto è vero che quando
nel 214 a.C. Annibale lo distrusse vi fu grande
difficoltà a riprendere i contatti commerciali. In
età repubblicana anche qui furono costruite sontuose
ville, e sotto Augusto il porto riprese importanza e
Miseno fu adibita a base navale : nel IX secolo fu
distrutta dai saraceni.
Molto bella è la spiaggia di Miliscola, che ha di
fronte Procida ed Ischia, mentre Miseno non è che
un piccolo centro. Anche qui vi sono delle antiche
terme, ed un Teatro romano, interessante per
la sua cavea divisa in due ordini. Si possono fare
delle passeggiate alla Grotta della Dragonara, per
mare, alla Grotta dello zolfo ed escursioni al Monte
di Miseno per ammirare un panorama più unico che
raro che si estende sino a Gaeta. Altra escursione
può essere fatta al faro di Capo Miseno, dal quale
si possono ammirare le isole, la penisola Sorrentina
ed il Vesuvio. Ritornando sui nostri passi per
Bacoli giungeremo a
Torregaveta
dove termina la linea della Ferrovia Cumana che
parte da piazza Montesanto a Napoli. Verso la foce
del Fusaro vi sono i ruderi della Villa di
Servilio Vada, della quale ci ha parlato Seneca.
Di qui si può raggiungere Monte di Procida, lungo
una strada panoramica dalla quale si vede tutta la
zona flegrea dai Camaldoli a Cuma e sino al Golfo di
Gaeta. Si può raggiungere inoltre l'isolotto di San
Martino, poco più che uno scoglio, e la graziosa
insenatura di Acqua Morta, che si trova davanti
all'isola di Procida, di Vivara e di Ischia. Di qui
possiamo giungere al Lago di Fusaro, che comunicava
col mare per mezzo di due canali, dove può
interessare la visita al Casino reale,
costruito da Carlo Vanvitelli nel 1782 per volontà
di Ferdinando IV di Borbone. Sulla sinistra del lago
vi sono, oltre a un'antichissima costruzione in tufo
chiamata la Grotta dell'Acqua, ruderi di una
costruzione romana. Allontanandoci dal lago, ad
alcuni chilometri possiamo vedere
Cuma,
uno dei più importanti centri archeologici della
Campania, in quanto questa città fu la più avanti
Cristo: era probabilmente già abitata in età
preistorica e dagli Eubei e da coloni Calcidesi ed
Eretri intorno al secolo X avanti Cristo: era
probabilmente già abitata in età preistorica e
protostorica.
I cumani nel 524 guidati da Aristodemo sconfissero
gli Etruschi, ma la loro pace non durò a lungo,
poiché nelle loro acque giunse la flotta di Cerone,
tiranno di Siracusa. Dai romani fu sottoposta alla
giurisdizione di Capua e durante l'invasione di
Annibale restò fedele a Roma meritandosi il diritto
alla cittadinanza municipale. All'avvento del
Cristianesimo Cuma aderì subito alla nuova religione
e i suoi templi pagani furono presto trasformati in
chiese cristiane.
Interessanti sono i ruderi dell'Anfiteatro,
costruito intorno al I secolo a.C, più piccolo di
quello di Pozzuoli; ne sono visibili archi e
pilastri del perimetro mentre la cavea è in parte
sepolta: esso sorgeva al di fuori delle mura della
città. Si può visitare poi il Sepolcro della
Sibilla, quanto rimane del Tempio della
Triade Capitolina e l'Acropoli, dove vi
sono ruderi del nucleo primitivo di Cuma e avanzi di
fortificazione greca del V secolo a.C. Interessante
è anche la visita all'Antro della Sibilla cumana,
che fu uno dei santuari più noti dell'antichità
pagana: la sua costruzione è del VI secolo a.C.
Questo « antro » è ricordato da Virgilio nella
drammatica scena del vaticinio, e perciò
all'ingresso su una epigrafe in marmo vi sono tre
versi dell'Eneide mentre a sinistra vi sono altri
versi virgiliani che descrivono il vaticinio. Si
tratta di una galleria rettilinea lunga crea 32 mt.
illuminata da sei fenditure, in fondo alla quale vi
è una grande camera che si ritiene il luogo dove la
Sibilla dava i suoi responsi. L'antro fu poi
adibito a cimitero cristiano, ma ancora nel IV
secolo il popolo credeva che la Sibilla si recasse a
vaticinare sul suo trono.
Dal fianco di questo Antro parte a sinistra la
gradinata che conduce all'Acropoli dove i
resti del basolato della via Sacra ci guidano ai
ruderi del Tempio di Apollo, rappresentati
dalla platea in blocchi di tufo. Nel periodo
augusteo furono rifatte le colonne e vi fu aggiunto
il pronao, e nel secolo VI il tempio fu trasformato
in basilica cristiana e in cimitero. Sull'acropoli
vi era anche il Tempio di Giove, che diventò
anch'esso basilica cristiana: ne resta la superba
platea, che è però nascosta dalla pavimentazione
romana e da quella cristiana; quindi soltanto dalla
parte del mare è visibile qualche avanzo della
costruzione greca. Interessante è anche la visita
alla Necropoli, che si estendeva sino a
Licola, della quale la parte più antica è ancora nel
sottosuolo. Per l'antica via « Domitiana » in parte
lastricata con basalto si può raggiungere quanto
rimane di Literno, ove si ritirò il vincitore di
Annibale, Scipione l'Africano. Nella zona flegrea si
può visitare ancora il cratere del Gauro, che
fiancheggia i binari della metropolitana. Noto ai
romani per i suoi vigneti, attualmente è rivestito
di boschi. Questa gita al cratere del Gauro è molto
interessante poiché si può raggiungere anche, su uno
sperone, la piccola Chiesa di Sant'Angelo. Ci
si può inoltre avviare verso il cratere della
montagna spaccata, percorrere questo intaglio e
scendere poi al piano di Quarto, per vedere
l'omonimo cratere a forma ellittica: attraversando
Qualiano e Marano si può quindi ritornare a Napoli.
La visita alle tre isole del Golfo di Napoli si può
effettuare partendo dal molo Beverello, dal quale
partono le motonavi per le isole. Poiché Procida ed
Ischia sono sulla stessa linea di navigazione, per
visitare queste due isole si prende lo stesso
vaporetto. Quella per Capri è invece una linea
diversa, ma le due isole maggiori sono collegate tra
loro direttamente: da Ischia quindi si potrà
raggiungere Capri. Esistono poi linee di aliscafi,
mentre il servizio di elicotteri è temporaneamente
sospeso. Riteniamo tuttavia che questo itinerario
non si debba, anche se possibile, effettuare in un
solo giorno e quindi consigliamo di visitare Procida
ed Ischia rimandando ad un secondo giorno la gita a
Capri, con partenza da Napoli o anche direttamente
da Ischia.
Se si desidera fare una passeggiata distensiva e non
si ha troppa fretta si può prendere la motonave, e
nel nostro caso dovremo prenderne una che fermi a
Procida.
Procida, Ischia e Vivara appartengono geologicamente
alla zona flegrea: la prima, che fu chiamata
«Prochyta», è legata con la sua storia all'isola
d'Ischia sino al settecento: fu feudo di Giovanni da
Procida, amico di Federico II che prese viva parte
ai Vespri Siciliani. Vi è un castello aragonese,
costruito nel secolo XV, che nel 1931 fu scuola
militare e divenne poi stabilimento di pena, nonché
diverse torri, delle quali la più bella è quella in
contrada Ponte Vecchio: vi sono poi gli avanzi di
un'antica torre, chiamata degli infernali, che si
ritiene fosse l'abitazione dì Giovanni da Procida.
Procida è bella di una bellezza fresca e la sua
piccola rada della Chiaiolella è una spiaggetta dove
ancora si possono fare i bagni di mare in acqua
limpida.
Sbarcati alla Marina Grande, si sale per stradine
silenziose e nitide: le strade principali sono via
Roma, via Vittorio Emanuele, il corso Principe
Umberto, e piazza dei Martiri, dove una targa del
1863 ricorda i martiri del 1799; al centro vi è il
Monumento ad Antonio Scialoìa che morì
nell'isola nel 1877, e ancora a sinistra un'altra
targa che ricorda che questo ministro, morto via San
Michele si può proseguire per la Terra Murata, che
rappresenta il punto più alto dell'isola.
Da notare la Chiesa abbaziale di San Michele, che ha
un grazioso altare maggiore in marmi policromi e un
bel soffitto in legno con una tela raffigurante San
Michele che abbatte Lucifero, opera del 1699 di Luca
Giordano, nonché un'altra tela del secolo XVII
raffigurante San Michele che difende l'isola.
Interessanti anche la Chiesa di Santa Maria delle
Grazie e l'altra della Madonna della pietà, che ci
appare con una graziosa cupola.
Il giro dell'isola è di circa km 9,500: scendendo
verso i ruderi di Santa Margherita Vecchia si
giunge al mare nella deliziosa insenatura di
Chiaiolella, alla quale approdano i pescatori; sulla
destra vi è il Lido di Procida. Per una piccola
stradina si può andare poi alla punta della
Palombara e all'antica Chiesa di Santa
Margherita, dalla quale si può ammirare un
panorama che abbraccia il golfo di Napoli, i Campi
Flegrei e le isole. Dalla marina di Chiaiolella si
può raggiungere anche l'isola di Vivara, che non
offre altro se non una folta vegetazione e la
possibilità di andare, col debito permesso, a caccia
di conigli. L'isoletta è disabitata, tranne che per
un guardiano con funzioni di guardia-caccia che vi
abita rifornendosi del necessario a Procida. Dopo
questa passeggiata in barca, ritornati a Procida,
per via Belvedere si può raggiungere un luogo
chiamato Belvedere di Centane; si può prendere poi
sulla destra la via del Faro, che guarda verso Capo
Miseno, Bacoli, Baia, Monte di Procida, l'isolotto
di San Martino e il monte di Cuma. Chi volesse fare
il periplo dell'isola per ammirarne la costa
frastagliata dovrà fittare un'imbarcazione privata.
Da Procida, sempre con la motonave, si può
raggiungere Ischia, che è la più importante e la più
grande delle isole flegree: essa conta i comuni di
Barano, Casamicciola, Forio, Lacco Ameno e Serrara
Fontana. Dominata dal monte Epomeo, alto 788 mt, è
di origine vulcanica ed è sempre andata soggetta a
fenomeni sismici, tanto che anche Plinio e Strabone
ricordano eruzioni avvenutevi nell'antichità; fra
quelle più vicine a noi ricordiamo la distruzione di
Casamicciola nel 1883.
L'isola fu colonizzata dagli Eubei che la chiamarono
« Phithecusa », che potrebbe significare « terra
della scimmia », o secondo Plinio ricorderebbe
l'artigianato locale di vasi di creta o il culto di
Apollo Pizio: l'attuale nome di Ischia è invece la
corruzione del latino « insula » trasformato poi in
« Ischia ». Nel 474 a.C. Gerone, tiranno di
Siracusa, giunto con la sua flotta per porgere aiuto
ai Cumani contro gli Etruschi, vi stabilì la sua
base e vi costruì un castello: l'isola fu poi
occupata dai napoletani nel 370 a.C, divenne romana
e fu ancora una volta restituita alla città di
Napoli da Augusto, in cambio di Capri. Le invasioni
barbariche non la risparmiarono, ma nel 588 Bisanzio
la pose ancora una volta sotto il dominio diretto
di Napoli. Dopo una terribile eruzione del secolo
XIV fu abbandonata dai suoi abitanti, che ripararono
a Baia e soltanto dopo qualche anno cominciarono
a farvi ritorno.
Sbarcati ad Ischia Porto, ci recheremo innanzitutto
a Ponte ad ammirare il cupo castello che, eretto per
la prima volta, come abbiamo accennato, da Gerone,
fu poi attraverso i secoli, trasformato, distrutto,
ricostruito e viene attualmente chiamato Castello
Aragonese. Esso era prima isolato dal mare in quanto
fu costruito su un isolotto, ma Alfonso d'Aragona lo
fece poi unire alla terraferma a mezzo di un ponte,
dal quale si accede ad un'ampia galleria. Lungo la
stradina che porta al castello vi è una piccola
cappella dedicata a San Giuseppe della Croce,
un santo isolano; vi sono poi i ruderi
dell'antica cattedrale costruita nel 1301 e
restaurata nel '700, dove si racconta che furono
celebrate le nozze tra Vittoria Colonna e Ferrante
d'Avalos. La famiglia dei marchesi di Pescara e del
Vasto infatti ebbe in feudo il castello e l'isola
sino agli inizi del secolo XVIII.
Dietro il castello vi è lo Scoglio di Sant'Anna e di
fronte a questo una torre che secondo un'antica
leggenda sarebbe appartenuta a Michelangelo, che
essendo innamorato di Vittoria Colonna l'avrebbe
fatta costruire per potersi recare di tanto in tanto
vicino alla sua amata.
L'isola d'Ischia ha molte sorgenti di acque
minerali, provenienti da due gruppi, chiamati
Fornello e Fontana, le une e le altre salsoiodiche e
radioattive ed usate per bagni e fangature. Molti
alberghi hanno quindi annesse le Terme; vi sono poi
Terme comunali e Terme militari. Ischia, oltre che
stazione termale, è anche ricercata come luogo di
villeggiatura nei mesi estivi, salvo alcune zone,
come Ischia Ponte, che sono abitate per la maggior
parte da pescatori. Ischia Porto è sorta intorno
alla sua rada, di forma ellittica, che era
probabilmente anch'essa un cratere vulcanico: nel
1854 Ferdinando II di Borbone fece scavare un canale
che lo mise in comunicazione col mare, rendendolo un
porto. Al centro dell'insenatura si nota lo
Stabilimento balneo-termale militare, che era in
origine una palazzina reale prediletta da
Ferdinando II che veniva a soggiornarvi molto
spesso; fu donata ai Borbone da un medico ischitano.
La strada principale della cittadina è via Roma; vi
sono poi il corso Vittoria Colonna e la bella
passeggiata Cristoforo Colombo, riservata soltanto
ai pedoni, che costeggia il lido ed ha sulla destra
i migliori alberghi e una pineta. La Cattedrale,
dedicata all'Assunta, fu costruita nel
secolo XIV e fu poi rifatta in linea barocca;
nell'interno a tre navate vi è un Fonte battesimale
rinascimentale la cui vasca è sostenuta da tre
cariatidi che rappresentano la Mansuetudine, la
Giustizia e la Prudenza. Da ammirarsi inoltre
un'antica tavola raffigurante la Madonna della
Lìbera e un Crocefisso in legno del secolo XIII, e
in sacrestia un'opera in marmo raffigurante la
Crocefissione, di autore ignoto.
Con la funivia si può fare un'escursione al
Montagnone; poi conviene intraprendere il giro
dell'isola per terra o per mare II giro dell'isola
via terra ci darà la possibilità di conoscere gli
altri comuni che la costituiscono, mentre il giro
per mare ce ne farà conoscere la costa, le spiagge e
le magnifiche insenature. Il primo è un percorso di
circa 31 km che partendo da Ischia Porto conduce a
Casamicciola, Lacco Ameno, Forio, Serrara Fontana e
Barano. Il primo centro dopo Ischia Porto è
Casamicciola, rinomata stazione climatica e termale,
divisa in una zona a monte collinosa e
lussureggiante ed una a valle che è poi la parte
moderna, con il suo lido.
Si ritiene che questo fosse il primo luogo occupato
dai colonizzatori e una leggenda vuole che la
Sibilla di Cuma vi annunziasse la nascita di Gesù
Cristo. Casamicciola fu rasa al suolo da un
terremoto nel 1883, ma è stata ricostruita in modo
più funzionale e moderno; si dice che le sue acque e
le sue fangature siano di maggiore effetto e
comunque vi sono molti stabilimenti termali.
Le strade principali sono costituite dal corso
Vittorio Emanuele, piazza Bagni, corso Garibaldi e
via Principessa Margherita. Dalla piazza della
Parrocchiale si può a destra per via Castanito
raggiungere la Sentinella, dove vi è un magnifico
panorama e l'Osservatorio geofìsico. Tra
Casamicciola e Lacco Ameno vi è la possibilità di
fare alcune escursioni, delle quali le più
interessanti sono quelle al Monte Trippodi che è a
500 mt. sul livello del mare, al Monte Rotaro e al
Monte Epomeo, prendendo una mulattiera da piazza
Maio.
Riprendendo la nostra strada, che poi è la strada
principale, si raggiunge Lacco Ameno, che si
annuncia col suo Fungo, uno scoglio dalla forma
caratteristica chiamato anche Pietra del Lacco. Per
via Morgera, che è il lungomare alberato, si giunge
alla cittadina; riceve il visitatore la pittoresca
rada di questo piccole comune, che è la stazione
termale più elegante, più ricercata, e più costosa.
Lacco fu abitata anch'essa da colonizzatori greci
nel VII secolo a.C. e vi sono state rinvenute delle
tombe in alcuni scavi fatti recentemente nella piana
di San Montano; vi si praticava il culto di Ercole,
tanto che in epoca romana il suo nome fu « Heraclium
». Dopo l'avvento del cristianesimo la nuova
religione ebbe presa molto rapidamente su questo
popolo e fu costruita una catacomba, che fu poi
trasformata in basilica e dedicata a Santa
Restituta, il cui corpo secondo una leggenda in una
tiepida giornata di maggio del 304 sarebbe stato
trovato nella rada di San Montano su una barca
sospinta dalle correnti, proveniente dalla lontana
Cartagine. La salma fu quindi inumata in questa
basilica e la Vergine martire fu in seguito
canonizzata.
A Lacco Ameno si possono visitare la Chiesa della
Marina, che ha nell'interno una acquasantiera
sostenuta da una statua raffigurante Ercole di epoca
romana e la Chiesa di Santa Restituta, costituita
da una chiesa moderna, che però nell'interno
conserva una tavola cinquecentesca, e da un'altra
più piccola costruita nel 1036 su una basilica
paleocristiana, che non è sfuggita però al solito
rifacimento settecentesco.
Anni or sono è stata scoperta la cripta della
basilica paleocristiana del IV secolo, a tre navate
su colonne, che fu ricavata da una grande cisterna
di epoca romana. Sotto l'altare vi sono le spoglie
di Santa Restituta e nel corridoio che conduce alla
cripta è stato ordinato un piccolo museo di oggetti
di scavo greco-romani di epoca cristiana.
Proseguendo la nostra passeggiata troviamo sulla
destra il grazioso lido di San Montano, la cui
pittoresca rada si affaccia tra due costoni. Si
possono fare inoltre delle brevi escursioni al Monte
Vico, dove sorgeva probabilmente l'Acropoli, mentre
nella sottostante valle vi era una necropoli; oppure
andare alla punta Cornacchia, alla punta Caruso e
giunti alla Chiesa di San Francesco di Paola,
ammirare la bella spiaggia di Montevergine che si
congiunge alla carrozzabile al di là del ponte di
Spinavolta. Deviando a sinistra per una stradina e
poi a destra si raggiunge la spiaggia di
Montevergine donde si può andare anche sul monte
Caruso. La strada continua e ci appare Forio, tutta
bianca per il colore mediterraneo delle sue casette
basse; questo piccolo centro, che ha una importante
produzione vinicola, era apprezzato sin dall'epoca
dei romani, che sfruttavano le acque minerali di
Citara, dedicata appunto a Venere Citarea e ad
Apollo. Di notevole interesse è la Chiesa di Santa
Maria di Loreto, costruita nel '300 e rifatta in
linea barocca con la facciata tra due campanili a
piastrelle maiolicate: l'interno a tre navate è
decorato con bei marmi policromi ed ha un grazioso
pulpito e una bella balaustra.
Nel soffitto a larghi cassettoni vi sono una
significativa Assunta, una Madonna di Loreto e un
San Nicola da Tolentino di Cesare Calise; notiamo
inoltre una Purificazione di Alfonso Spinga e in
sacrestia una piccola statua in marmo raffigurante
Santa Caterina da Alessandria.
Si può raggiungere a destra di piazza Matteotti il
Torrione, prima adibito a difesa, poi a carcere ed
ora a museo; vi si conserva un enorme osso di un
cetaceo che fu trovato a Citara nel 1770. Si può
visitare poi anche la Chiesa di San Francesco, con
interno ad unica navata, che conserva un grazioso
coro in legno, alcune tele di discepoli di Luca
Giordano e una « Crocefissione » di Evangelista
Schiara del 1777. Caratteristica è la Chiesa del
Soccorso, dal cui piazzale si può ammirare un
magnifico panorama; graziosa anche la Chiesa di San
Vito, restaurata più volte, la cui facciata ha ai
lati due torri, una con l'orologio e l'altra
campanaria, che alberga una campana donata nel 1852
da Ferdi nando II di Borbone, fusa col bronzo di
pezzi di artiglieria che erano in Castel Nuovo.
L'interno, a tre navate, contiene un trittico di
Cesare Calise raffigurante la Vergine e i SS. Vito
e Caterina, una Pietà della scuola del Soli-mena,
una Sacra famiglia di Anna Maria Manecchia del 1680
e in sacrestia una statua in argento raffigurante
San Vito eseguita su modello di Giuseppe Sammartino
nel 1787 dai fratelli Del Giudice.
Di qui si scende al mare alla magnifica spiaggia di
Citara, dove un moderno complesso sfrutta le acque
calde e fredde che scaturiscono; anche di qui si può
raggiungere la spiaggia di Montevergine e si può
fare l'escursione al Monte Epomeo; per una
mulattiera si potrebbe raggiungere Fontana o andare
a Santa Maria del Monte. Riprendiamo la nostra
strada lungo il mare, dal quale emergono alcuni
caratteristici scogli chiamati « Pietra Nera », «
Pietra Bianca », « Pietra del cavallone » e «
Pietre Rosse », e si possono scorgere delle
caratteristiche grotte dove si conserva il vino.
Giungiamo così alla frazione di Cuotto, dove vi è
una fumarola molto interessante per il fenomeno
della ionizzazione, in quanto emette gas a 80°;
superata la punta Imperatore, un promontorio che si
può anche raggiungere per un sentiero, si arriva
alla frazione di Panza, donde si può fare una
escursione a La Guardiola, a 194 mt, con uno
splendido panorama. Sempre continuando il giro
dell'isola, ci troviamo nell'altro versante, che ha
di fronte Capri; qui vi è il promontorio di
Sant'Angelo, unito all'isola da un istmo di sabbia.
Il paesino omonimo non è che un piccolo villaggio di
pescatori, ma è una stazione balneare molto
ricercata dagli stranieri: più avanti vi è la
magnifica spiaggia dei Maronti. La strada continua
giungendo a Serrara Fontana, che è il comune più
elevata dell'isola; esso fu rifugio degli angioini
scacciati dagli aragonesi. Dalla Chiesa di Santa
Maria della Sacca, di costruzione trecentesca,
con piccolo campanile a vela, si può salire alla
cima del Monte Epomeo, incontrando lungo la strada
in una spianata la Chiesetta di San
Nicola, con un eremo scavato nel tufo nel 1459,
nel quale si rifugiò nel 1754 un governatore
fiammingo di Carlo di Borbone, Giuseppe d'Argut,
miracolato da San Nicola mentre stava per essere
giustiziato come disertore. Anche di qui, per una
mulattiera, si può raggiungere la spiaggia dei
Maronti. La nostra strada scende poi rapidamente tra
imponenti pareti tufacee fino a raggiungere Barano,
che ci accoglie con un belvedere a picco sulla
spiaggia dei Maronti; di qui si potrebbe andare a
Piedimonte e a Testaccio o scendere ai Maronti. Al
quadrivio chiamato « I pilastri » si ammirano gli
avanzi di un antico acquedotto romano e
costeggiandoli sulla destra si può visitare il
piccolo centro di Sant'Antuono e, per una mulattiera
il paesino di Campagnano. Ritornati sulla nostra
strada e superato l'acquedotto si passa per una zona
tutta di materiale eruttivo formatosi durante
un'eruzione avvenuta nel secolo XIV: giungiamo poi
in piazza degli Eroi, dove non ci resta che
scegliere se andare a sinistra verso Ischia Porto o
a destra verso Ischia Ponte.
Abbiamo così terminato il nostro itinerario via
terra, ma ricordiamo che il giro dell'isola si può
effettuare anche per via mare, con un percorso di 30
miglia: si tratta di una deliziosa passeggiata in
motobarca che permette di ammirare in pieno le
bellezze della costa, varia e frastagliata. Partendo
dal porto si doppia la punta del Soccorso passando
davanti allo sbocco della cava dell'isola; superata
la spiaggia di Citara si oltrepassa punta Imperatore
ed il faro, e dopo lo scoglio La Nave si possono
notare le interessanti stratificazioni della roccia
e ammirare i vigneti di questa parte dell'isola.
Appare poi Sant'Angelo; si doppia il Capo Negro e
con il Monte Epomeo sulla sinistra vediamo il
villaggio di Sant'Angelo col suo minuscolo istmo,
seguito dalla spiaggia dei Maronti. Dopo la costa di
Barano, da lontano si notano Procida e Capo Miseno
e, oltrepassata l'insenatura chiamata il Ponticello
ci troviamo davanti il castello di Ischia; si passa
poi la Grotta di Terra e si raggiunge il ponte che
unisce l'isola al castello, lasciandosi alle spalle
gli scogli di Sant'Anna. Aggirato il castello, si
giunge nuovamente ad Ischia Porto.
Capri si può raggiungere, come abbiamo detto, da
Ischia Porto o da Napoli con motonave o con
aliscafo. Ci sembra superfluo vantare le bellezze
di quest'isola che è considerata uno dei più bei
luoghi del mondo: essa fu abitata sin dall'età
paleolitica e conquistata poi dai Fenici e dai
Teleboi che vi fondarono un regno fortificandone la
parte alta, che oggi si chiama Anacapri.
Nel 326 a.C. l'isola apparteneva a Napoli e nel 29
a.C. i napoletani la cedettero ad Augusto che vi
dimorò molto, si pensa sino al 14 d.C Anche Tiberio
vi trascorse gli ultimi anni della sua vita e altri
imperatori la amarono. Vi dovevano essere
sicuramente molte sontuose ville costruite in
quell'epoca, ma a noi non sono rimasti che i ruderi
della Villa Iovis, ricordata anche da Svetonio,
sulla collina di S. Maria del Soccorso, di un'altra
villa di epoca imperiale sul piano di Damecuta e di
un'altra dove vi sono i cosiddetti Bagni di Tiberio.
Nel 530 Capri passò all'abbazia di Montecassino; nel
VII e nell'VIII secolo fu soggetta a continui
saccheggi da parte dei corsari e dei saraceni, sì
che gli abitanti furono costretti a portarsi nella
parte più elevata dell'isola. Fu dominio longobardo,
poi di Roberto il Guiscardo ed infine svevo, fino a
quando non ebbe un feudatario nella persona di
Eliseo Arcucci. Nel secolo XIV Giacomo Arcucci fu
segretario di Giovanna I d'Angiò che amò e protesse
molto l'isola. Nel secolo XVI Capri fu saccheggiata
e semidistrutta dalle continue scorrerie dei pirati
e può dirsi che soltanto sotto Carlo di Borbone
trovò finalmente un po' di pace.
Seguendo un certo itinerario, e cioè partendo dalla
Marina Grande, troviamo la piccola ma interessante
Chiesa di S. Costanzo, costruita intorno al secolo
X su un'antica basilica ed ingrandita all'inizio del
secolo XIV da Giacomo Arcucci con una graziosa
cupola ed un caratteristico campanile.
L'interno ha una pianta a croce greca con dodici
colonne, ma ve ne erano altre di giallo antico e di
cipollino che per ordine di Carlo III furono
trasferite nella cappella del Palazzo Reale di
Caserta. Vi sono conservate le spoglie del santo,
che era patriarca di Costantinopoli ed era venerato
come patrono dell'isola.
Nella piazzetta di Capri vi è la Torre
dell'Orologio, che alcuni ritengono fosse il
campanile dell'antica cattedrale. Sembra accertato
che questo fosse il centro dell'isola già nel IV
secolo a.C. in quanto vi sono ancora i resti dì mura
in blocchi calcarei visibili verso la terrazza
della funicolare ed alle falde del Castiglione. La
Chiesa di S. Stefano fu costruita sulle rovine di
un'antica chiesa e rifatta su disegno del Picchiatti
ad opera di Marziano Desiderio in una discutibile
linea barocca.
Nell'interno, da notarsi il pavimento policromo
proveniente da « Villa Iovis », il Sepolcro di
Giacomo e Vincenzo Arcucci di Michelangelo
Naccherino ed una graziosa tavola raffigurante la
Vergine con i santi Michele e Antonio da Padova.
Sulla destra vi era l'antico castello di Giovanna I
d'Angiò, trasformato noi nel Palazzo Cerio.
Molto
interessante è la Certosa di S. Giacomo, costruita
per desiderio di Giacomo Arcucci intorno al 1371:
distrutta in parte verso la metà del secolo XVI
durante una incursione, fu rifatta con torri di
difesa.
Varie volte restaurata, tuttavia è ancora oggi un
monumento di particolare interesse per il suo
portale ogivale e alcuni affreschi trecenteschi tra
cui uno raffigurante delle donne che pregano, una
delle quali si ritiene che possa essere Giovanna
d'Angiò. L'interno della chiesa, ad unica navata,
conserva degli affreschi secenteschi; degni di nota
sono ancora il chiostro quattrocentesco del
convento, con grazioso portico con colonnine con
capitelli romani e bizantini e la simpatica torre
dell'orologio. Vi è poi un altro chiostro
cinquecentesco, con la sala capitolare ed il
convento dei certosini, con il belvedere
nell'alloggio del Priore.
Dal belvedere chiamato « Cannone », attraverso una
scalinata, si giunge al Castello di origine
medioevale chiamato Castiglione, ritenuto in origine
opera degli amalfitani del secolo IX, e comunque
certamente già esistente ai tempi di Federico II di
Svevia, come attestano alcuni documenti dell'epoca.
Subì gli attacchi dei turchi e sotto la dominazione
francese l'assedio degli inglesi.
Una passeggiata molto interessante è quella che
porta all'Arco Naturale, dal quale si può scendere
alla Grotta di Matrornania dove gli antichi
romani probabilmente veneravano Cibele: essa
presenta un ninfeo con decorazioni, stucchi e
mosaici. Per visitare Villa Iovis occorre
munirsi di pazienza ed affrontare una lunga
passeggiata a piedi, lungo la quale si incontrano
anche le rovine del Faro Romano.
Questo era un blocco quadrato in mattoni alto circa
sedici metri che aveva al centro una base cilindrica
su cui si faceva bruciare un fuoco resinoso per
indicare ai naviganti che si trovavano all'altezza
dell'isola: Stazio lo definì « emulo della luna ».
Esso crollò però prima della morte di Tiberio per un
terremoto ed ora non ne restano che pochissimi
avanzi.
Dopo il belvedere del Salto di Tiberio, dal
quale la leggenda vuole che il tiranno facesse
precipitare le sue vittime, vi sono i ruderi della
grandiosa Villa Iovis, di cui abbiamo già fatto
cenno, ricordata anche da Svetonio e da Plinio, che
occupava tutta la sommità del monte Tiberio per
circa 7000 mq.
Vi è ancora parte del primitivo pavimento a mattoni
ed un vestibolo su quattro colonne, un secondo
vestibolo ed un corridoio che porta a tre stanze
delle quali la centrale doveva essere il «
calidarium ». Il piano superiore, detto il « Bagno
», è composto da cinque locali che sono in
comunicazione con una delle quattro cisterne
esistenti : per una scala si giunge poi
all'appartamento imperiale che è la parte più
elevata della villa, composto di un vestibolo e due
locali con magnifica pavimentazione policroma e da
una terrazza belvedere. Si passa quindi alla loggia
imperiale, lunga ben 92 metri, a ridosso
dell'appendice del monte: vi sono anche i resti di
uno « Specularium » che doveva servire per
l'osservazione astronomica o per luogo di vedetta.
In questa zona vi è una statua della Vergine
del 1901 e la piccola Chiesa di S. Maria del
Soccorso.
Lungo la strada che porta da Capri ad Anacapri si
vede ancora l'antichissima Scala Fenicia, che
si vuole fosse costruita dai primi colonizzatori
dell'isola per unire Anacapri alla Marina Grande.
Verso l'alto essa raggiunge invece la porta della
cittadella detta Porta della Differenzia,
presso la famosa Villa San Michele dello
scrittore svedese Axel Munthe.
Ad Anacapri vi sono i ruderi di un altro Castello,
detto di Barbarossa perché la leggenda vuole che,
preso e incendiato dal condottiero saraceno
Kaireddin Barbarossa nel 1534 durante un'incursione,
fosse stato poi da lui stesso ricostruito. Esso era
indubbiamente anteriore a quello di Capri e dai suoi
ruderi, a strapiombo sul mare, si gode una veduta
paradisiaca dei golfi di Napoli e di Salerno.
Interessante è il Museo della Torre, che raccoglie
armi e sculture antiche proprio in una torre. Oltre
alla Chiesa di S. Michele, costruita da Domenico
Antonio Vaccaro nel 1719, che ha una notevole
pavimentazione di mattonelle maiolicate su disegno
di Francesco Solimena, nel piccolo centro vi è anche
la piccola Chiesa di S. Sofia, di costruzione
medievale, rifatta nel 1512. Sulla vetta del monte
Solaro vi sono gli avanzi di una piccola
fortificazione che fu costruita dagli inglesi nel
1806 sui ruderi di un'altra costruzione medioevale.
Superata una località chiamata Olivastra si giunge
alle rovine della magnifica Villa Imperiale Romana,
che, danneggiata nel I secolo d.C, fu poi devastata
durante il periodo del decurionato francese. Oggi ne
rimane soltanto l'« ambulatio », alcuni archi e
pilastri; all'estremità Est fu costruita nel
Medioevo la Torre di Damecuta. A poco più di
200 m. vi è una vasta cisterna romana ed altri
avanzi in « opus reticulatum ».
Di grotte a Capri ve ne sono moltissime e le più
antiche hanno portato gli studiosi a conclusioni
molto utili per la nostra storia. La più bella è
indubbiamente la Grotta Azzurra, nota sin
dall'antichità, come provano alcuni avanzi di
costruzione romana; lunga circa 55 metri deve la
sua meravigliosa colorazione alla luce che vi entra
per rifrazione.
Trattasi di una cavità carsica che abbassatasi per
bradisismo ha una apertura alta soltanto circa 19
mt., unica fonte di luce, separata dall'ingresso da
un ponte di roccia. L'ingresso è largo 2 mt. ed alto
un metro; bisogna quindi entrarvi carponi nella
barca, ma l'interno è lungo 54 mt., largo 15 e alto
30 con profondità marina di circa 20 mt.
La grotta prosegue poi inoltrandosi in una piccola
galleria chiamata dei Pilastri suddivisa in tre zone
comunicanti, a cui segue un passaggio piuttosto
stretto e infine una caverna quasi piana. Al di
sopra di questa grotta vi sono i ruderi della
costruzione romana chiamata Villa di Gradolà.
Abbiamo accennato appena alle cose principali da
visitare nell'isola, ma per Capri, come per Ischia,
consigliamo il periplo dell'isola per mare, che è
soltanto di 9 miglia. Questa gita dà la possibilità
di ammirare la meravigliosa costa, le grotte, gli
scogli più strani, gli antri e le insenature
naturali.
Partendo dalla Marina Grande e cercando di
costeggiare la scogliera, appare una prima grotta
chiamata del Bove Marino; in quanto
specialmente quando il mare è agitato, dal suo
interno si odono dei boati: segue la grotta
chiamata della ricotta, seguita dal rudere di
un fortino e dalla Punta del capo.
Doppiando la parte orientale dell'isola si notano
dal mare la Chiesa di S. Maria del Soccorso e
la Villa Iovis e sotto il Salto di Tiberio
l'omonima grotta, non sempre di facile accesso.
Prima di giungere ad uno spazioso anfiteatro
roccioso vi sono la Punta del Monaco e quella della
Chiavica, seguite dalla Grotta dei Polpi,
chiamata anche della Seppia perché vi si
trovano facilmente questi molluschi cefalopodi e la
grotta dell'arco di Betlemme di
difficilissimo accesso. Si aprono poi altre due
grotte, la Bianca e la Meravigliosa; la
prima, di facile accesso, è costituita da due zone
di mare che sembrano due laghetti, mentre la
seconda, accessibile da un ingresso artificiale, è
chiamata Meravigliosa per le sue belle stalagmiti.
Seguono la Grotta dei Preti e il piccolo
Faraglione di Matromania, dal quale si può scorgere
la grotta omonima e l'Arco Naturale. Si tocca quindi
la Punta Masullo, su cui vi è una villa appartenuta
a Curzio Malaparte e subito dopo i due maestosi
scogli chiamati / Faraglioni. Lungo la costa,
su uno scoglio semicircolare chiamato il « Monacone
» vi sono i ruderi di antiche costruzioni; segue la
Grotta Tragara con l'omonimo porto dove si
possono notare ruderi di un porto romano. Dopo il
primo Faraglione appare Marina Piccola: il passaggio
tra questi scogli è molto suggestivo. Sempre
costeggiando la scogliera si incontra poi una
grotta chiamata Albergo dei marinai che ha un
doppio ingresso e un simpatico effetto di colore, in
quanto una parte è azzurra e l'altra è verde.
Passiamo ora sotto la Certosa, dove incontreremo
un'altra grotta chiamata Oscura, con
le macerie di una torre che si vuole costruita nel
1563 dai monaci della Certosa. Seguono la Grotta
della Certosa e quella del Belvedere,
quella dell'Arsenale, che è accessibile dal
mare e quindi la Marina Piccola, che si trova alle
pendici dei monti Solaro e Castiglione. Proprio
sotto il Solaro vi è la Grotta dell'Arco, con
avanzi di antiche costruzioni e poi la Grotta
delle Felci, passata alla storia perché vi sono
stati trovati oggetti litici di età neolitica.
Aggirando la Punta di Mulo si scorge la Cala
Ventrosa, con la vista retrospettiva di Punta
Tragara e dei Faraglioni; raggiungiamo quindi la
Grotta Verde, chiamata anche del Turco,
molto vasta, dove la colorazione dell'acqua si
avvicina a quella dello smeraldo. Vi sono poi la
Grotta Rossa e la piccola Grotta Marmola
seguita dalla Cala Marmolata con la Grotta della
Galleria. Vicina è la Grotta del Cannone
Krupp seguita dalla Grotta Brillante, la
Grotta dei Santi e la Grotta Vela. La
scogliera diminuisce dalla Punta del Tuono alla
Punta Carena, ove si scorge la costruzione rossa del
faro: scapolata la Punta Vetereto si raggiunge
quindi la Grotta Azzurra. Vedremo poi ciò che
rimane dei Bagni di Tiberio in un mare
costellato di scoglietti innumerevoli e infine si
ritorna alla Marina Grande, dalla quale con la
pittoresca funicolare si può raggiungere il paese.
Questo itinerario ci porterà a Caserta, a pochi
chilometri da Napoli, per una rapida visita di
questa cittadina agricola e di alcuni centri
viciniori. Non intendiamo menomare la nobile città
di Caserta includendola nei dintorni di Napoli, ma
piuttosto vogliamo invogliare il turista a non
perdere l'occasione di visitare anche questo
centro, che è soltanto a poco più di 30 km.
Questa gita sarà infinitamente interessante non
soltanto perché vedremo la famosa Reggia
vanvitelliana, ma per il graziosissimo borgo
medioevale di
Caserta Vecchia,
poco distante, che vanta una Cattedrale romanica ed
altri monumenti di pregio e riserba al visitatore la
piacevole sorpresa di un paesino fermo nel tempo,
intatto nella sua struttura.
Caserta Vecchia fu edificata sulle rovine di alcuni
templi dedicati a Giove, a Diana ed a Venere Giovia
col materiale di risulta di queste e di altre
costruzioni romane dell'età imperiale. Esso fu il
primo nucleo urbano chiamato Caserta, quindi la
vera e la storica città di questo nome, mentre
l'attuale capoluogo di provincia non sorse che nella
seconda metà del secolo XVIII intorno alla Reggia
dei Borbone. Sembra che il nome di Caserta derivi da
una « Casa Irta » che vi era in questo luogo già
nell'860, ovvero il castello del longobardo Pandone
il Rapace. Sino alla fine del secolo XI la storia
di Caserta segue quella della contea di Capua, sotto
i discendenti di Pandone; passò poi sotto conti
normanni, e Ruggiero, re di Sicilia, la concesse a
Roberto, conte di Lauro ed al figlio Ruggiero, conte
di Tricarico, di Marsico e poi di Sanseverino.
Questa famiglia la tenne pur fra mille insidie e
contese fino all'avvento degli angioini, che la
diedero in feudo a baroni devoti alla loro causa:
nel 1303 Caserta fu venduta al conte di Telese
Siginulfo; passò poi ai della Ratta e nel secolo XVI
ai Gambacorta, e nel '600 cominciò ad essere
abbandonata dai suoi abitanti, che si trasferirono
man mano in pianura, dove nel 1775 sorse la nuova
città.
Anche la sede vescovile, che vi aveva avuto
residenza sin dal secolo IX, si trasferì nel nuovo
centro.
Per visitare Caserta Vecchia dobbiamo innanzitutto
raggiungere Caserta, per l'Autostrada del Sole o
con un treno: quindi di qui ci si dirige verso una
frazione chiamata Casolla, non distante dal paesino
medioevale. Questo si annuncia con il rudere
dell'antico Castello di Pandone I: il maniero ebbe
sei torri ed un mastio, ma attualmente non resta che
il rudere del mastio, volgarmente chiamato « la
torre », di forma cilindrica su base poligonale.
Attraverso stradine che conservano il loro
lastricato medioevale giungeremo quindi nella
piazzetta, dominata dalla Cattedrale romanica
dedicata a San Michele Arcangelo.
Questa antichissima chiesa fu iniziata dal vescovo
Rainulfo nel 1113 e terminata entro il 1153: la sua
facciata, in marmo e tufo, presenta un timpano
triangolare in corrispondenza della navata mediana e
tre portali centinati, di cui quello destro, che è
chiuso, ha una cornice con due animali, mentre in
quello sinistro sulla cornice, con due centauri si
apre una monofora. Il più grande, quello centrale,
ha nell'arco una cornice che posa su due leoni che
dominano due tori su graziose mensole; lo sovrasta
una monofora con ai lati due colonne sorrette da due
leoni. Al di sotto del timpano una graziosa cornice
gira intorno alle pareti esterne dove sei colonnine
sorreggono gli archi quasi ogivali ma incrociati e
ciechi. L'opera per quanto romanica presenta delle
forme non ortodosse che ricordano quelle sicule,
pugliesi, lombarde ed ispano-musulmane, ma è
comunque da ritenersi uno dei monumenti più
importanti della Campania e forse uno dei più
interessanti dell'architettura medioevale
dell'epoca. Sulla destra si erge il campanile, di
influsso gotico, posteriore alla cattedrale essendo
stato costruito nel 1234 dal vescovo Andrea. Esso
poggia su un arcone ogivale ed è costituito da tre
piani, di cui il primo ha una galleria cieca e gli
altri delle graziose bifore; quattro angoli del
coronamento ottagonale sono arrotondati da
torricelle cilindriche. Nella base del campanile
sono incastrati, verso la chiesa, una lapide
sepolcrale e un frammento di fregio romano.
Interessantissima è anche la cupola della
cattedrale, costituita da un tamburo ad ottagono con
due piani di arcate cieche di cui il primo poggia su
quattro colonnine ed il secondo ne ha sei in ogni
lato che si incontrano con quelle del timpano della
facciata. L'interno è a croce latina, con tre navate
divise da 18 colonne monolitiche che si pensa
provengano dal tempio di Giove Tifatino:
l'interessante abside centrale è se mi-circolare ed
ha ai lati altre due absidi semicircolari : il
transetto è rialzato e la navata centrale termina in
un arcone a sesto acuto. Le volte a costoloni del
transetto ci ricordano un po' quell'architettura
araba che ebbe prolifica espansione in Sicilia.
Questa chiesa originariamente fu affrescata dal
Cavallini e dai suoi discepoli ma di queste
decorazioni oggi non restano che alcuni avanzi nella
cappellina trecentesca che è sulla destra. Nella
severa e spoglia semplicità dell'ambiente
ammireremo due acquasantiere medievali, la prima
sorretta da un leone e l'altra da un leoncino, a
sinistra nei pressi della seconda colonna; il fonte
battesimale è del secolo IX. Di notevole interesse
è il pulpito dugentesco su cinque colonnine sotto il
penultimo arco, e particolarmente un pregevole
bassorilievo raffigurante l'Annunciazione che ne
costituisce la parte più antica. In fondo alla
navata sinistra vi è un affresco trecentesco
raffigurante la Vergine col Bambino e ai lati del
transetto notiamo il Sepolcro del vescovo Giacomo,
da alcuni attribuito a discepoli di Tino di Camaino,
al di sopra del quale un altro affresco trecentesco
rappresenta la Crocefissione. Ammirevole anche il
Sepolcro di Francesco II della Ratta, a sinistra del
transetto, che da alcuni è attribuito alla bottega
di Tino di Camaino; esso è decorato da medaglioni e
sorretto da tre figure che rappresentano la Fede, la
Fortezza e la Carità.
Usciti dalla chiesa, consigliamo di fare una
passeggiata per il graziosissimo borgo, fresco e
sereno nella sua grazia intatta.
Prenderemo ora la strada del ritorno, verso la città
moderna: per entrare a Caserta città bisogna passare
sotto le cascate del parco della Reggia dopo aver
lasciato sulla nostra sinistra San Leucio, una
frazione coronata anche da un castello dislocato
sulle pendici dell'omonimo monte.
Questo piccolo centro prese il nome da una chiesa
intitolata al suo santo, che, nato ad Alessandria
d'Egitto, visse a lungo in Italia e morì su una
terra del conte di Benevento, a cui apparteneva
anche la diocesi di Capua; della chiesa che fu qui
costruita, purtroppo oggi nulla rimane.
San Leucio fu una creazione di Ferdinando IV di
Borbone che intorno al 1773 volle raccogliervi una
colonia per installarvi un setifìcio; egli avrebbe
voluto che questo agglomerato si chiamasse dal suo
nome Ferdinandopoli e sin dal 1789 volle dargli
delle leggi che differissero da quelle del suo
regno, creando per esso un codice a parte la cui
compilazione affidò a Gaetano Filangieri,
realizzandovi delle riforme sociali progressiste che
gli furono compilate da Bernardo Tanucci.
S. Leucio fu feudo personale di re Ferdinando:
bisogna dargli atto che fu merito suo se sorsero qui
delle belle opere. Il re vi fece costruire per sé il
casino reale, sullo sfondo di un magnifico bosco che
fa parte del parco di Caserta, che come sua
proprietà chiuse al pubblico; dopo averlo popolato
di animali selvatici, lo usò anche come riserva di
caccia. Vi fu prescritta l'educazione pubblica, la
pubblica tranquillità, la buona fede, la perfetta
eguaglianza fra tutti, il matrimonio tra la gente
dello stesso mestiere, l'abolizione delle doti e fu
vietata l'ingerenza dei genitori nei matrimoni dei
figli. Fu imposta l'istruzione obbligatoria e furono
aboliti i testamenti dando il diritto di successione
solo ai figli, ai collaterali di primo piano ed al
coniuge superstite, mentre le altre proprietà
dovevano passare al « Monte » degli orfani: i maschi
e le femmine avevano gli stessi diritti ed ogni
operaio era tenuto a dare una parte dei suoi
guadagni alla « Cassa di carità ». Così sorse la
manifattura di S. Leucio, che tuttora eccelle
nell'arte della seta. Quest'arte millenaria che
nacque nell'antica Cina e che sembra avesse inizio
con la coltivazione del gelso nel 2800 a.C. ancora
oggi è viva a S. Leucio, i cui manufatti si
affermano in tutto il mondo. Il sistema della
gestione diretta ebbe termine nel 1843, e quando,
dopo l'unione del Regno di Napoli a quello d'Italia
tutti i beni reali passarono allo stato, le
manifatture furono date in affitto ad industrie
private. Le industrie seriche di S. Leucio ancora
usano i vecchi telai a mano e producono preziose
stoffe e damaschi secondo i vecchi disegni del '700
e dell'800.
Oggi S. Leucio interessa principalmente per la sua
storia tutta particolare e per l'opera di
Ferdinando IV che volle qui trasferirsi dopo tante
amarezze che gii avevano procurato la moglie e lo
stato. La cura che il re aveva nell'interessarsi di
tutti i particolari di questa colonia era veramente
ammirevole anche se non mancarono i maligni che
insinuarono che S. Leucio rappresentava « con le
sue manifatturiere un harem dove le velleità
conquistatone del sovrano potevano facilmente essere
soddisfatte ».
La storia di
Caserta
Nuova è tutta legata alla dinastia borbonica e alla
costruzione della Reggia che fu chiamata Reggia
di Caserta dal nome dell'antico centro.
Nel 1819 la nuova città fu creata capoluogo della
provincia. Il capoluogo, essendo sorto in epoca così
recente, non offre opere molto antiche e la sua
importanza artistica si basa principalmente sul
lavoro che vi svolse il Vanvitelli.
In continuazione della via Appia, su un ampio
rettilineo, possiamo vedere il Palazzo detto delle
Quattro Colonne, dove morì nel 1773 il grande
architetto, le cui spoglie furono inumate nella
piccola Chiesa di S. Francesco, costruita intorno
al 1605.
Questa chiesetta ha una facciata semplice seguita da
un pronao; all'interno vi sono tre altari di cui
quello centrale in marmo e gli altri due in stucco.
Il convento annesso, in uno stile gotico alquanto
paesano, presenta volte a crociera con costoloni.
Un'iscrizione in una cella ricorda che Benedetto
XIII nel 1729, mentre da Benevento si recava a
Capua, volle fermarvisi per celebrare la messa e
digiunare con i frati.
Luigi Vanvitelli, nipote del grande architetto, nel
1823, confermando il luogo e la data di sepoltura
dello zio si rammaricava « che neppure un piccolo
epitaffio vi indicasse l'esistenza delle fredde sue
ceneri », ed il sovrano borbonico dell'epoca,
toccato da questo giusto rilievo, fece apporre una
lapide sepolcrale per la quale furono stanziati 75
ducati, in cui si ricordava brevemente la vita del
cavaliere Luigi Vanvitelli figlio dì Gaspare che
aveva costruito la Reggia di Caserta e vi aveva
portato l'acqua con la perforazione di un monte.
Nel 1964, quando il Comune della città d'accordo con
le autorità ecclesiastiche ordinò la chiusura al
culto della piccola chiesa, evidentemente per le sue
precarie condizioni statiche, si effettuarono delle
ricerche per ritrovare la sepoltura del Vanvitelli
ed infatti in una cripta fu trovato uno scheletro di
sesso maschile che si ritenne dovesse essere quello
del famoso architetto.
Volgiamo la nostra attenzione alla Reggia che
rappresenta, oltre che il capolavoro di Luigi
Vanvitelli, una delle più importanti opere
architettoniche che vanti l'Italia.
Dopo la vittoria di Velletri, nel 1744, Carlo di
Borbone pensò alla costruzione di una nuova reggia
che desiderò a simiglianza di quella di Versailles:
si può dire che intorno a questa dimora reale sia
stata concepita la città di Caserta, che doveva
rappresentare, nella mente del sovrano, una seconda
capitale monumentale.
Non fu difficile la scelta dell'architetto, in
quanto due soli nomi furono in ballo, quello del
Salvi e quello del Vanvitelli e il re decise per il
secondo, che dovè richiedere a Benedetto XIV,
essendo architetto pontificio.
La prima pietra della maestosa costruzione fu posta
nel 1752, ed il Vanvitelli, oltre a fare il disegno
della reggia, progettò con due suoi aiutanti quel
condotto lungo 40 Km. che dalle sorgenti del Taburno
doveva portare l'acqua nel parco del palazzo
reale.
Naturalmente diversi progetti furono presentati
prima che il sovrano si decidesse, ma il risultato è
di tale armoniosa perfezione e grandiosità da
lasciare senza parole.
L'imponente facciata a tre ingressi ad arco e con
due porte presenta ben 243 finestre ed un nicchione
principale inquadrato da colonne binate nel quale
spicca un'iscrizione in ricordo di Carlo III di
Borbone e di Ferdinando IV, continuatore dell'opera
voluta del genitore. Il fianco ovest ha 198
finestre, 2 porte ed un portone ed il fianco est 201
finestre e 2 porte, mentre la facciata interna, cioè
quella verso il parco, è più ricca della facciata
principale ma uguale ed ha le finestre inquadrate da
lesene scanalate. In totale questo grandioso
edificio ha 1200 stanze con 1970 finestre e 34
scale.
Meraviglioso l'ingresso, dal quale si accede ad un
primo vestibolo che si collega con quelli del centro
e con l'altro terminale attraverso una gran galleria
a tre navi. Colpisce l'arte estrosa e personalissima
del grande architetto nel disegno degli eleganti
vestiboli ottagonali a peristilio coperti da calotte
poggianti su colonne: dagli archi della galleria si
scorgono in una profonda prospettiva i quattro
spaziosi cortili laterali. L'imponente scalone è
adorno di statue allegoriche, eleganti balaustre,
colonne e di due leoni marmorei che la furia
vandalica degli occupatori del '43 volle in parte
profanare. Il vestibolo è quasi simile al
precedente, ma più ricco per la policromia dei
marmi: alcune statue raffiguranti il Merito, la
Verità e la Maestà Regia e affreschi nella volta che
rappresentano la Reggia di Apollo aggiungono calore
e movimento all'armonioso insieme.
Dopo l'esecuzione dello scalone, dell'atrio e della
cappella, in cui sull'architetto dovè maggiormente
influire il ricordo di quella esistente a
Versailles, vi fu un momento di stasi, in quanto
dovendo Carlo di Borbone salire al trono di Spagna,
fu stabilito che la Reggia ed il parco fossero
terminati con una spesa inferiore a quella prevista.
Sopraggiunta poi la morte del Vanvitelli, il palazzo
rimase incompiuto all'interno; in circa vent'anni di
lavoro l'architetto aveva diretto l'esecuzione dil
una costruzione di 45.000 mq. di superficie e vi
aveva portato l'acqua dal Taburno attraverso monti
e viadotti.
Durante tutto il regno di Ferdinando IV, dei due re
francesi e quello di Ferdinando II, sino al 1845
continuò l'opera di rifinitura e di arredamento;
furono portati a termine l'appartamento reale,
costituito da sei ambienti e sale dell'appartamento
per i ricevimenti e le feste. Luigi Vanvitelli era
stato previdente affiancandosi nel lavoro il figlio
Carlo, poiché nella continuazione dell'opera questi
rispettò le sue idee.
Nel 1780 Ferdinando IV volle prendere possesso di
quel lato del palazzo destinato alle famiglie dei
principi reali nonostante i lavori continuassero
con evidenti fastidi per coloro che l'abitavano.
L'appartamento occupato dal re era costituito da
vaste anticamere e precisamente da quella chiamata
degli Alabardieri, seguita da quella della Guardia
del Corpo, in cui di fronte alle finestre vi è un
gruppo marmoreo portato da Roma che raffigura
Alessandro Farnese incoronato dalla Vittoria e sulla
volta un affresco di Girolamo Starace raffigurante
La Gloria del principe con le dodici province del
regno. La quarta anticamera, dedicata ad Alessandro
il Grande, fu portata a termine sotto Gioacchino
Murat: nel 1826 vi furono collocate tele di Vincenzo
Camuccini raffiguranti la Morte di Virginia e
L'uccisione di Cesare al posto di alcuni affreschi
che erano stati ordinati dal Murat e che non
piacquero al re Borbone, Nel 1840 poi vi furono
disposti alcuni bassorilievi del Niccolini, degli
scultori Tito Angelini e Gennaro Cali, mentre i due
quadri del Camuccini venivano trasferiti a
Capodimonte e sostituiti da due tele riguardanti
Carlo di Borbone, da un Ritratto di Alessandro di
Lucio Lucchesi e da tele di dubbio gusto del Guerra
e del Maldarelli.
Nelle quattro sale ad oriente vi sono dei dipinti
allegorici del Dominici e di Fedele Fischetti che
rappresentano la Primavera, l'Estate, l'Autunno e
l'Inverno. Si giunge poi alla camera dove Ferdinando
II morì il 22 maggio del 1859, seguita dai gabinetti
di toletta della regina e dalle sale di ritrovo e di
conversazione e infine dalla biblioteca. Vale la
pena di soffermarsi brevemente su questi « gabinetti
» decorati con specchi veneziani che incorniciavano
le pareti e le finestre, con dipinti del Fischetti
raffiguranti Venere, Diana e le Grazie e con putti
modellati da Gennaro Fiore: la vasca di marmo fu
scolpita dal Salomone. Alle spalle di questo
appartamento vi sono sale da gioco e di servizio,
cappelle private e camere da letto e poi, come si è
detto, la biblioteca, che consta di tre ambienti con
dipinti alle pareti del Fuger datati 1782.
Nell'appartamento seguente, quello del principe
ereditario, riteniamo che esistano ancora delle
nature morte di scuola napoletana, una raccolta
iconografica borbonica ed un museo vanvitelliano.
Gli appartamenti ad occidente furono terminati nel
1807 durante il regno di Giuseppe Bonaparte sotto la
direzione dell'architetto De Simone. Essi sono in
stile neoclassico; la Sala di Marte è di ordine
ionico e nella Sala di Astrea domina una magnifica
tela del Berger. Segue la più grande sala del
palazzo, quella destinata alle udienze, lunga ben 35
metri e larga 13, che fu terminata sotto Francesco I
dallo svizzero Pietro Bianchi, l'architetto che
aveva provveduto alla costruzione della balisica
palatina di S. Francesco di Paola in Napoli.
La morte del re, avvenuta nel 1830, causò
l'interruzione dei lavori che furono ultimati
soltanto nove anni dopo, si ritiene sotto la
direzione di Gaetano Genovese che nel 1839 dirigeva
alcuni lavori nella Reggia di Napoli;
parteciparono all'esecuzione i migliori artisti
dell'epoca..
Dopo aver attraversato la Sala del Consiglio e la
Sala del Trono, si giunge all'appartamento reale,
costituito da uno studio, dalla camera da Ietto, tre
sale di conversazione e una nuda cappella privata,
tralasciando gabinetti e bagni, quest'ultimo con una
magnifica vasca di granito egiziano. Riteniamo di
dover aggiungere che questo piano nobile, terminato
nel 1822, indubbiamente non raggiunge la bellezza e
la ricchezza degli altri appartamenti. Alle spalle
vi era un piano caricatore con un ascensore che
veniva fatto funzionare a mano tramite alcuni
verricelli. Interessante è il Teatro, a ponente
della reggia, quasi quadrato, con tre ingressi di
cui uno reale e cinque ordini di palchi : fu
inaugurato nel 1768 sotto il regno di Ferdinando
IV. Crescenzo La Gamba vi dipinse l'Apollo: elegante
è il palco reale sormontato da un baldacchino di
stucco.
Il 20 settembre del 1860 Garibaldi, dopo il
plebiscito, da questa reggia scrisse a Vittorio
Emanuele II che desiderava consegnargli il « Supremo
Potere » e la nuova provincia della Terra del
Lavoro.
Dietro il colossale edificio si apre a perdita
d'occhio Io splendido Parco, che rappresenta parte
integrante della Reggia in quanto fu progettato da
Luigi Vanvitelli, per quanto modificato in parte dal
figlio Carlo. Esso, che si estende per ben 3 Km., è
ricco di fontane e statue, sullo sfondo di una
deliziosa cascata artificiale, con piani digradanti
dalla collina. Da un rotonda, dove vi è una fontana
chiamata Margherita, si giunge al Ponte di Ercole,
il sito più caratteristico del parco, e poi alla
cascata dei Delfini, costruita nel 1779 e alla
fontana di Eolo, ove precipita l'acqua, adorna di 29
statue di Gaetano Salomone, Paolo Persico, Andrea
Violani ed Angelo Brunelli che raffigurano i Venti e
gli Zefiri. A tergo un emiciclo a portico che
costituisce una grotta a quatto bassorilievi, anche
opera del Brunelli, che raffigurano lo Sposalizio di
Paride, le Nozze di Teti, il Giudizio di Paride e
Giove con le dee. Vi è poi una seconda cascata la
cui acqua scende dalla Fontana di Cerere, opera di
Gaetano Salomone. Al termine vi è la grande
cascata, nel cui bacino si trovano dei gruppi del
Solari, del Brunelli e del Persico raffiguranti
scene con Diana e Atteone; seguendone i fianchi si
giunge ad una grotta nella quale giunge l'acqua
dell'acquedotto Carolino, che fu progettato da Luigi
Vanvitelli. A sinistra vi è poi il giardino inglese
realizzato nel 1782 appunto da un inglese, Giovanni
Antonio Graefer, per desiderio di Maria Carolina
d'Austria: il disegno del giardino, ricco di piante
rarissime e magnifiche serre, boschetti e viali,
di un laghetto con un tempietto neoclassico, fu
attuato sotto la vigilanza di Carlo Vanvitelli.
Notevole è anche la Peschiera grande, scavata nel
1769, con un'isoletta nella quale vi è un
padiglione: anche questa è opera del grande
Vanvitelli. Ingolfandosi nel folto del bosco si
incontra poi quell'edificio che sembra quasi un
castello medievale, il Ca-stelluccio, costruito
nello stesso anno della peschiera grande ma rifatto
nel 1819. Esso è composto da una torre ottagonale
che man mano diviene cilindrica; vi è una saletta ad
emiciclo al primo piano che ha otto vani profondi,
in uno dei quali vi è una scala: intorno è coronata
da dodici bassorilievi raffiguranti imperatori
romani, opera del Foggiani. I lavori per tutto
questo complesso ebbero inizio verso la metà del
1751 e per i terremoti avvenuti nella zona sino a
quello del 1930, si può dire che non siano ancora
terminati.
Vorremmo aggiungere che l'arte presepiale che fu
tanto cara ai re Borbone si sviluppò in questa
reggia, poiché si deve appunto a Ferdinando IV il
primo presepe per il quale modellarono opere d'arte
artisti come Matteo e Felice Bottiglieri, Nicola
Ingaldi, Francesco Celebrano, Giuseppe Gori, Lorenzo
Mosca e Giuseppe Sammartino, che avevano studio nel
quartiere di S. Eframo, dove spesso Luigi Vanvitelli
amava recarsi. A questi eminenti artisti bisogna
aggiungere quelli che si dedicarono a riprodurre
nature morte o animali come Nicola e Saverio
Vassallo, Giuseppe De Luca e Luigi Ardia. Qui la
composizione presepiale si sviluppò ampiamente
affiancandosi all'idea del soggetto, cioè di un
racconto nel quale insieme alla nascita del Cristo
potessero ammirarsi i costumi delle province
napoletane e quelli isolani.
Dopo la visita a Caserta Vecchia e a Caserta Nuova
riteniamo opportuno, prima di rientrare a Napoli,
proseguire per
Santa Maria Capua Vetere,
una piccola cittadina, che oltre ad essere un centro
agricolo di una certa importanza, ha un grande
interesse storico.
Essa fu costruita sull'antica Capua, che fu abitata
in origine dagli oschi e poi, nel VI secolo a.C.
dagli etruschi. Nella metà del secolo V a.C.
apparteneva ai sanniti, ma nel 343 si alleò con Roma
e nel 330 fu creata « cìvitas sine suffragio ».
Poiché, però durante la seconda guerra sannitica si
staccò da Roma, fu assediata e saccheggiata dalle
truppe del dittatore Menio. Durante la seconda
guerra punica Capua, impaziente di riconquistare la
propria indipendenza, si ribellò di nuovo a Roma
dandosi ad Annibale, che vi si attardò, sedotto dai
famosi « ozi di Capua »; si disse, e gli scrittori
latini lo confermano, che la città volesse diventare
allora la capitale d'Italia con l'aiuto dei
cartaginesi, ma il sogno durò poco, perché nel 211
dovè sottomettersi nuovamente a Roma e fu trattata
duramente. Cesare nel 58 decise di ridarle la
cittadinanza e sotto Augusto Capua ebbe il titolo di
« Colonia Iulia Augusta Felix ». Nel IV secolo d.C.
era ancora ritenuta la città più grande d'Italia
dopo Roma, ma nel secolo V fu devastata e
saccheggiata da Genserico e nel secolo IX, quando fu
ancora distrutta dai saraceni, gli abitanti
l'abbandonarono e costruirono la nuova Capua sui
ruderi di « Casilinum », in posizione più protetta.
Col passare del tempo però intorno all'antico Duomo,
dedicato a S. Maria Maggiore, venne man mano
riformandosi un piccolo agglomerato che agli inizi
del secolo XIV veniva chiamato « Villa Sanctae
Mariae Maioris » e solo nel 1806 divenne comune
autonomo.
La parte più interessante di S. Maria Capua Vetere è
quindi quella archeologica, con quell'Anfiteatro
Campano che è uno dei più importanti monumenti
romani, di gran lunga più grande di quello di
Pozzuoli e leggermente inferiore al Colosseo di
Roma: l'asse maggiore misura infatti circa 170
metri e quello minore 140, ed aveva quattro piani
per un'altezza complessiva di circa 47 metri.
Fu costruito da una colonia dedottavi da Augusto,
anche se non si conosce la data precisa dei lavori
e fu rimaneggiato da Adriano nel 119, come ricorda
un'iscrizione alquanto mutila che è attualmente al
Museo di Capua.
Durante le devastazioni di Genserico ed il
saccheggio dei saraceni l'anfiteatro fu adibito a
centro di difesa e infine al principio del secolo IX
se ne iniziò purtroppo lo smembramento prelevandone
marmi, colonne e massi che furono utilizzati
come materiale da costruzione.
Davanti all'anfiteatro vi è un'area sistemata a
giardino dove sono stati messi sculture ed elementi
architettonici, oltre a un mosaico raffigurante
Nereidi e Tritoni: segue l’antiquarium, con tre sale
ed un portico, che contiene avanzi decorativi,
statue acefale, terrecotte, vasi, anfore e ritratti,
dei quali è notevole quello di Marco Aurelio) altro
interessante monumento di epoca romana è il Mitreo,
del II secolo d.C. molto ben conservato, che ha
nell'interno rettangolare vari affreschi dell'epoca.
Notevoli sono anche gli Archi di Capua o Arco di
Adriano, dove passava la via Appia, opera primitiva
a tre fornici, in cui un'iscrizione ricorda la
vittoria dei garibaldini dell'ottobre del 1860.
Interessante anche la visita alla Cattedrale, che si
vuole costruita dal vescovo di Capua san Simmaco
nel 432 sulle catacombe di San Prisco, e fu
ingrandita nel 787 per desiderio di Arechi II e nel
secolo XVII da Decio del Balzo che costruì l'abside
che vediamo adesso.
Dopo altri rimaneggiamenti e restauri, il duomo si
presenta oggi con un interno a cinque navate divise
da ben 51 colonne antiche di forma dissimile di
varia provenienza. Da notare un interessante ciborio
rinascimentale, la cappella di Santa Maria
Suricorum, con graziosa cupoletta di epoca
rinascimentale e una Deposizione del De Mura.
Interessante è anche la chiesa di San Pietro in
Corpo, che fu costruita su una basilica e
conserva nell'interno due colonne con capitelli
corinzi della costruzione originaria; quella
della Madonna delle Grazie, opera moderna in cui
è incorporata l'antica abside della basilica dei
SS. Stefano e Agata con dipinti del XIII secolo.
Sotto l'edificio delle carceri vi sono poi avanzi di
un criptoportico che originariamente era
illuminato da ben 80 finestre; nel secolo XVII vi si
passeggiava, poi fu adibito a monastero dei frati
minimi di San Francesco di Paola, in seguito a
stalla ed infine a carcere. Il Teatro, di
epoca augustea, è al di là della via Appia, con
altri avanzi emersi in recenti scavi che alcuni
ritengono del II secolo a.C.
I cittadini di Capua, dopo aver abbandonata nel
secolo IX la loro patria distrutta dai saraceni, si
costruirono una nuova città a cui diedero Io stesso
nome di quella di origine, a non grande distanza, su
ruderi dell'antica Casilinum. Questo nuovo centro
presto si affermò ed ebbe una storia insigne; diede
i natali ad illustri protagonisti della storia e
dell'arte e divenne il centro culturale della
provincia di Caserta.
La città sorse intorno all'850 ad opera di Landone
I, e da allora sino alla metà del secolo XII fu un
principato indipendente, anche se subì
l'occupazione di Guido e poi di Lamberto da
Spoleto, fu assediata dai napoletani e dai
bizantini e fu presa dai normanni nel 1076. Fu poi
assediata da Braccio da Montone nel 1421, nel 1437
dalle truppe di Giacomo Caldora e ancora da Cesare
Borgia, che la saccheggiò ammazzando un gran numero
di abitanti, secondo alcuni circa 5.000. La
cittadina subì come Napoli la dominazione austriaca
nel secolo XVIII fino a quando non vi entrarono,
nel 1734, le truppe spagnole di Carlo III dopo ben 8
mesi di assedio. Durante la guerra per l'unità
d'Italia subì ancora gli attacchi delle truppe
piemontesi e il 2 novembre del 1860, costretta ad
arrendersi, fu annessa al regno d'Italia.
Capua è ricca di opere d'arte, anche se alcune di
esse sono state danneggiate e distrutte dai bestiali
bombardamenti del 1943. Consigliamo la visita della
Cattedrale, dedicata ai SS. Stefano ed Agata,
eretta per volere del vescovo Landolfo I; fu rifatta
una prima volta nel secolo XII, una seconda volta
nel 1724 dal cardinale Caracciolo ed ancora nel 1850
a cura del cardinale Giuseppe Cosenza.
Il grandioso atrio con venti colonne con capitelli
corinzi del III secolo, è adorno sulla parte esterna
di sei busti che raffigurano i primi vescovi della
diocesi con al centro la statua di Santo Stefano,
opera del Viva. Nel maestoso interno a forma
basilicale a tre navate si può ammirare un portale
marmoreo del secolo XII, una tavola dugentesca
raffigurante la Madonna della Rosa, che sta per
essere restituita dopo un restauro, il Sarcofago di
Luigi dì Capua e quello quattrocentesco di Matteo di
Capua conte di Palena, una statua raffigurante la
Vergine della Purità, opera quattrocentesca offerta
dal protonotario Bartolomeo di Capua ed un
candelabro per cero pasquale del XIII secolo. La
regina Margherita di Savoia volle donare al
cardinale Capecelatro l'altare della cappella del
SS. Sacramento, un'opera di Anselmo Cangiano che si
trovava prima nella basilica di San Francesco di
Paola a Napoli Dono di Ferdinando II di Borbone è
invece una pregiata statua lignea raffigurante
l'Immacolata. Notevole è anche la cripta, con 24
colonne che includono una cappella nella quale si
conserva un'opera di Matteo Bottiglieri raffigurante
un Cristo Morto, eseguito secondo alcuni su disegno
di Francesco Solimena; sull'altare una Addolorata
di Antonio Canova. Interessante è anche il tesoro,
nella sacrestia. A destra dell'atrio vi è la torre
campanaria del IX secolo con antiche colonne
corinzie; vi sono varie iscrizioni e tre
bassorilievi che si ritengono provenienti
dall'Anfiteatro Campano.
Ricordiamo anche la Chiesa dell'Annunziata,
costruita con l'omonimo ospedale nel secolo XIII,
che ha una bella cupola disegnata dal Fontana;
l'interno ad unica navata non ha più il bel soffitto
ligneo ornato da 39 dipinti famosi, che fu distrutto
dai bombardamenti alleati. Da ammirarsi il coro
ligneo nell'abside, del 1519, ed alcuni dipinti di
Paolo Di Maio. Degne di menzione sono anche la
Chiesetta della Carità, a croce greca, con
un'interessante cupola; quella di Santa Maria
Maddalena e la basilica preromanica di
Sant'Angelo Odoaldis con l'interno a tre navate,
attualmente in via di restauro; quella di San
Salvatore Piccolo con affreschi trecenteschi
attribuiti da alcuni a Montano d'Arezzo; quella
di San Martino della Giudecca del secolo XIII;
quella di Santa Caterina, del secolo XIV, che
conserva un chiostro rinascimentale ed avanzi di
affreschi dell'epoca e quella di San Giovanni in
Corte, del secolo X .La Chiesa di San
Salvatore Maggiore a Corte, di classica
architettura longobarda, fu costruita per desiderio
della principessa Adelgrina intorno al 960, quella
di San Tommaso d'Aquino, detta anche di
San Domenico, fu eretta per volere di Bartolomeo
di Capua nel 1258 con interno ad unica navata;
quella di S. Michele a Corte del secolo IX,
ha avanzi di affreschi del secolo X; quella dei
SS. Rufo e Carponio del XII secolo, con torre
campanaria del secolo successivo, ha tre navate e
tre absidi semicircolari; quella di San Marcello
Maggiore, del-l'851, conserva un interessante
portale con gli stipiti lavorati da artisti lombardi
nel quale una lastra tombale del VII secolo
sostituisce il primitivo architrave.
Nella facciata del Palazzo Municipale, del 1561,
sono incastrate sette protomi marmoree di divinità
provenienti dall'Anfiteatro Campano,
quell'insigne monumento romano della vecchia Capua:
sono interessanti anche la Casa di Pier della
Vigna, con cortile rinascimentale, ed il
Palazzo dei Principi Normanni, chiamato anche il
Castello delle Pietre. Sono ancora degni di
menzione la Porta Napoli, del XV secolo ed il
Palazzo Antignano, appartenuto ai duchi di
San Cipriano, con grazioso portale quattrocentesco
di linea catalano-moresca, ove ha sede attualmente
il Museo Campano, fondato nel 1874.
Per esso si prodigarono, ciascuno a suo tempo,
Gabriele Iannelli e Luigi Garofano Venosta, che dovè
assistere alla sua semidistruzione durante i
bombardamenti alleati dell'agosto del '43. In
seguito il museo risorse a nuova vita per opera di
Amedeo Maiuri e del Garofano Venosta: nella sua
nuova sistemazione esso ha 38 sale di esposizione e
12 adibite a deposito e si presenta suddiviso in 3
sezioni: archeologica, medioevale e moderna. Nella
prima vi sono steli funerarie e un interessantissimo
lapidario, sculture di rilevante valore, sarcofagi,
terrecotte e vasi protostorici campani e greci;
nella sezione medioevale si conservano frammenti
preromanici, sculture prese dai castelli di
Federico II di Svevia, busti e statue raffiguranti
personaggi dell'epoca, la pinacoteca, una
biblioteca; la sezione moderna raccoglie opere di
autori moderni e contemporanei.
Degni di menzione sono anche il Palazzo
Fieramosca, con una interessante epigrafe di
Giovanni Bovio e la Casa Campanile con
graziose bifore: il Ponte sul Volturno
risalente all'amica « Casilinum », che era stato
restaurato da Federico II, con 6 arcate e robusti
pilastri in tufo, fu distrutto dai bombardamenti del
'43.
Ricorderemo ancora, nel campo dell'architettura
militare, le Torri di Federico II, la cui
storia inizia nel 1233 quando il re svevo diede
ordine a Niccolò de Cicala di costruirgli un
castello, facendo abbattere l'antico borgo al di là
del Volturno: allora fu eretta una porta che fu
sempre considerata la principale della città e torri
di gran mole rivestite di blocchi di tufo scuro.
Da Capua si può raggiungere a 4 Km.
Sant'Angelo in Formis,
molto importante per la sua Basilica. Questo piccolo
centro alle falde del monte Tifata prende il nome
dall'omonima antichissima basilica, da ritenersi una
delle più importanti opere medioevali della
Campania.
L'appellativo « in Formis » deriva da un antico
acquedotto romano che veniva anche chiamato «ad arcum Dianae» per un tempio che vi era nel secolo I
d.C. Evidentemente sui ruderi di questo tempio fu
costruita la basilica cristiana, che appartenne
prima alla diocesi di Capua, poi ai benedettini
cassinesi e nel 1065 a Riccardo, principe di Capua e
conte di Aversa, che la restituì a Montecassino e
precisamente all'abate Desiderio divenuto poi
pontefice col nome di Vittore III. Questi nel 1073
diede alla chiesa la forma attuale, ma le tracce
della primitiva costruzione emergono tuttora,
specialmente nella pavimentazione.
L'interno è a tre navate, intervallato da colonne
sormontate da capitelli corinzi che alcuni
ritengono provenienti dal tempio di Diana. Benché
dopo la morte di Desiderio, avvenuta nel 1087, la
chiesa debba ritenersi ultimata, non riteniamo che
tutti gli affreschi siano di quell'epoca: questi,
che rappresentano scene del Vecchio e del Nuovo
Testamento dovevano essere originariamente circa
150, anche se oggi non ne rimangono che una
sessantina, il cui stato di conservazione lascia
molto a desiderare; di maniera bizantina, sono le
opere più importanti del complesso. Notevoli sono
anche le acquasantiere, il fonte battesimale ed il
pergamo in marmo del secolo XII, nonché il
campanile in blocchi squadrati ricavati dal
tempio di Diana Tifatina; nei pressi fu creato il
Cimitero dei Garibaldini caduti nella battaglia del
Volturno.
Da Sant'Angelo in Formis si può effettuare una
simpatica escursione al Monte Tifata, ma comunque
per il visitatore che desidera rientrare a Napoli
basterà che riprenda la stessa strada intrapresa
precedentemente per raggiungere Caserta. |