Questo itinerario ci condurrà per i maggiori comuni
vesuviani e comprenderà una simpatica gita al
Vesuvio. Partendo da piazza del Plebiscito, superata
la piazza Municipio seguiremo via Marina e
raggiungeremo il Ponte della Maddalena sotto il
quale, anche se soltanto dopo molti giorni di
pioggia, scorre quel fiumiciattolo chiamato Sebeto.
Si supera San Giorgio a Cremano, villeggiatura dei
napoletani dell'800 ed oggi quartiere periferico e
la Croce del Lagno dove iniziano le belle ville
settecentesche, conosciute come ville vesuviane per
la maggior parte in stato di completo e volontario
abbandono; ricorderemo fra queste la Villa
Pignatelli, la Villa Ignarra che fu sede
dell'Accademia Erco-lanense, la Villa Mirra,
appartenuta al letterato Domenico, la Villa
Gargiulo con cappella neogotica del periodo
ferdinandeo, la Villa Volpicelli, che a dire
il vero ne comprende due, la Villa Giulia,
appartenuta al principe di Sannicandro, la Villa
Faraone con doppia esedra ellittica, la Villa
Marigliano, con portale del Sanfelice, la
Villa Berlo, appartenuta poi al principe di
Casapenna, la Villa Caracciolo di Forino, la
Villa d'Aquino di Caramanico, la Villa
Caracciolo di Avellino, appartenuta poi ai
Medici d'Ottajano, la Villa Firrao, la
Villa Galante, la Villa del Principe di
Cariati, la Villa Tufarelli, la Villa
Tanucci, appartenuta al ministro borbonico
Bernardo ed altre di minore importanza o in tale
stato di deterioramento che riteniamo inutile
nominarle.
Senza alcuna soluzione di continuità si giunge alla
cittadina di Portici, il cui nome deriva da una
villa che vi aveva Quinto Porzio Aquilo.
In questa cittadina Carlo di Borbone nel 1738 volle
costruire una reggia che troveremo poco dopo la
piazza principale di Portici, intitolata a San Ciro.
La strada passa direttamente nell'ampio cortile del
Palazzo, e divide la costruzione in due zone, una
verso le pendici del Vesuvio e l'altra verso il
mare.
Un aneddoto vuole che nel 1737 Carlo di Borbone e la
regal consorte, rientrati da una pesca di tonni
effettuata a Castellammare di Stabia, accompagnati
dal duca di Sora, fossero costretti a rifugiarsi nel
porticciolo del Granatello e a ritornare indietro a
causa di una violenta mareggiata. La regina Amalia
avrebbe così avuto la possibilità di ammirare
l'amenità del sito e, d'accordo col re, disporre per
la costruzione della reggia. Infatti nel 1738
iniziarono i lavori con l'esproprio dei palazzi del
famoso principe di Elboeuf, del principe d'Aquino di
Caramanico, del conte di Palena, del principe di
Santobuono e della famiglia Mascabruna che,
trasformati e adattati, divennero un'unica
costruzione comprendente la Reggia, le scuderie, la
dipendenza con due piccoli boschi ed una magnifica
discesa a mare.
Nell'ottobre dello stesso anno 1738, i reali
occuparono inizialmente la Villa Palena, ma il
vaiolo preso dalla regina, lasciò un po' perplesso
il re sull'opportunità di insistere sulla
costruzione; dissuaso dai medici decise subito la
continuazione dei lavori.
Si disse, in quel tempo, che le ville private furono
espropriate non tanto per iniziare il palazzo reale
di Portici, ma per sfruttare il terreno il cui
grembo riservava tesori archeologici. Basti
pensare che fu portato alla luce un intero tempio
con 24 colonne e 24 statue di marmo! L'onestà di re
Carlo era però tale che anche un piccolo cammeo che
tanto gli piaceva, che fu incastrato su un suo
anello, fu da lui restituito quando partì da
Napoli per cingere la corona spagnola.
Tutto il materiale di valore ritrovato negli scavi,
che a volte erano effettuati in presenza dello
stesso re, fu poi sistemato nella galleria della
reggia. Fu così fondato il Museo di Portici, con
annessa Accademia Ercolanense, che trovò
sistemazione nei locali del Palazzo. Fu coordinata
una raccolta di estremo interesse archeologico ed il
tutto fu poi descritto ed elencato dal 1757 al 1792
in otto volumi, ripartiti per le pitture, bronzi,
lucerne ed altre cose; di detti volumi si son poi
avute edizioni in francese, inglese e tedesco.
La Reggia fu costruita man mano con l'opera degli
artiglieri del colonnello Medrano, ma ... questa
volta il romano Canevari, dopo l'esperienza fatta a
Capodimonte, tanto fece e pregò che ebbe la
direzione dei lavori, con una paga di 90 ducati
mensili. Un ingegnere francese di nome Bardet de
Villeneuve propose di deviare la strada in modo da
non tagliare in due parti la reggia, ma il re
preferì lasciar tutto così come stava.
Il grande atrio, al quale si accedeva una volta dai
tre cancelli in ferro ed oggi dalla strada
cosiddetta « delle Calabrie », è diviso in nove
parti ciascuna con nove volte ognuna delle quali è
sostenuta da quattro pilastri. Da un cortiletto in
fondo all'atrio si accede ai giardini e al
boschetto, ove si attraversa un magnifico viale di
elei che termina con un muraglione, che si vuole
avanzo del vecchio campo di pallone e del castello
costruito da Ferdinando IV nel 1775. Esso dà accesso
anche alle logge del piano superiore, mentre uno
scalone in marmo rosso porta al primo piano : un
cancello ove possiamo riscontrare le iniziali del re
Murat e della consorte termina la scala dalla
parte dell'atrio.
Un piccolo teatro preesistente del palazzo del
principe di Elboeuf fu trasformato in cappella, il
cui altare fu decorato con i magnifici angeli, opera
di Giuseppe Canart, e le statue dei SS. Patroni di
Giovanni Violani. Lo scalone, ornato da statue di
scavo, fu costruito nel 1741, e porta
all'appartamento di Carolina Bonaparte affrescato
da Vincenzo Del Re, che dipinse anche la cupola
dello scalone, da Fedele Fischetti, da Giuseppe
Bonito, da Clemente Ruta, da Wicar, Girordet,
David ed altri.
Nel 1742 il « Real sito » di Portici occupava una
vasta zona che da Pugliano (Vesuvio) arrivava al
Granatello (mare). Annesso all'appartamento vi è un
ricco saloncino da toilette Luigi XIV, che era il
boudoir della regina, opera di Clemente Ruta,
chiamato anche « stanza dorata » con pavimento in
mosaico.
Dall'appartamento ci si può affacciare al cortile
principale che porta a un boschetto con annessa
pescheria. Circa i marmi che servirono allo scultore
Canart per la costruzione del palazzo, essi vennero
da Carrara, da Capua e dalle cave di Vitulani e di
Gesualdo, o furono ricavati spogliando monumenti
antichi del regno, comprese cinque colonne di
broccatello antico di Benevento, e due di verde
antico della Cattedrale di Ravello e di Napoli; si
salvarono le cattedrali di Lucerà, di Canosa e di
Troia, la cui spoliazione era già... in
programma!
Re Carlo amava la Reggia di Portici e, nella serena
semplicità coniugale, conduceva una vita tranquilla
in una etichetta rigida orientata alla massima
moralità, non permettendo divertimenti leziosi ed
inutili. La pesca a Portici e la caccia a Caserta
erano gli unici svaghi di Corte.
La Reggia si arricchì poi di un piccolo Zoo, che fu
popolato da animali feroci ed esotici. Il vecchio
ministro Salas ne avocò a sé le direzione ed il
popolamento, e si fecero quindi venire leoni,
pantere, iene, giaguari e perfino elefanti che il
ministro borbonico in Turchia provvide ad inviare al
suo re. Nel 1775 Ferdinando IV fece costruire anche
un castello del quale oggi resta soltanto qualche
avanzo vicino al muraglione del gioco del pallone.
Vi era, inoltre, una torre ove funzionava una tavola
detta muta e gli ospiti potevano servirsi di vivande
liberamente e a loro piacimento « fuori tavola ».
Anche Luigi XV nel Castello di Choisy, copiando
dalla corte di Napoli, istituì una tavola « des
confidentes ».
Nel 99 Ferdinando IV spogliò il palazzo e portò
tutto a Palermo e Gioacchino Murat, quando prese
possesso anche di questa Reggia, dovè arredarla da
capo con mobili francesi; fu messa con gran lusso,
poiché il monarca francese era molto mondano e le
sue feste terminavano sempre a tardissima ora.
Sotto il regno di Ferdinando II, la Reggia ebbe
ospite nel 1849 anche Pio IX ma non essendo quasi
mai abitata dalla Reale Famiglia, se non qualche
volta dal Principe di Salerno e dal conte d'Aquila,
incominciò ad essere trascurata sia nella
manutenzione ordinaria che nella vita di corte e man
mano fu completamente dimenticata. Attualmente è
sede nella Facoltà di Agraria della nostra
Università.
Accanto alia reggia furono costruite diverse ville,
delle quali ricorderemo Villa Caravita, Villa
Meola, Villa Elboeuf, tutte disegnate dal
Vaccaro. Prima di lasciare Portici ricorderemo anche
il Forte del Granatello, che Carlo di Borbone
fece costruire da Francesco Lopez Barnos nel 1738, e
che fu demolito alla fine dello scorso secolo.
Segue Ercolano, importante dal punto di vista
archeologico quasi quanto Pompei, essendo anch'esso
un antichissimo centro, fondato secondo la leggenda,
da Ercole, alle pendici del monte Vesuvio. La città,
di origine greca, e chiamata « Heràkleion » fu detta
dai romani « Herculaneum »: del periodo greco non vi
è stato rinvenuto che qualche rudere di murazione,
ma la sua urbanistica si uniforma a quella della
Napoli greca, squadrata con cardini e decumani.
Dal VI secolo a.C. la cittadina dipese da Napoli,
poi da Cuma e infine passò ai Sanniti. Fu contro
Roma ma nell'90 a.C. dovè soccombere e divenne
municipio romano: nel 62 d.C. fu quasi distrutta da
un disastroso terremoto ma fu prontamente
ricostruita più bella per l'interessamento di
Vespasiano. Purtroppo l'eruzione del 79 d.C. la
seppellì sotto la cenere e ì lapilli; lava e fango
entrarono per ogni dove e di Ercolano non rimase che
il ricordo. I primi scavi furono iniziati ai
principi del secolo XVIII a cura del principe
austriaco Elboeuf, ufficiale di cavalleria del regno
di Napoli, che riuscì a trovare alcune mura del
teatro, ma purtroppo, da persona poco onesta, egli
faceva scomparire tutte le suppellettili o il
materiale più facilmente asportabile. Dopo la
venuta di Carlo di Borbone nel 1738 gli scavi furono
ripresi con maggior metodo e furono continuati quasi
ininterrottamente sino al 1766 sotto le direzione dì
un architetto spagnolo, Alcubierre, dello svizzero
Carlo Weber e di Francesco La Vega; nel 1775 fu
creata l'Accademia Ercolanese, che iniziò a
pubblicare studi di notevole interesse sul materiale
di scavo. Vi fu poi una stasi, ed i lavori vennero
ripresi soltanto nel 1828, per quanto non con il
fervore col quale erano stati iniziati da Carlo di
Borbone: furono ancora ripresi nel 1869, poi nel
1875, di nuovo nel 1927 e proseguono ancora
oggi.
Entrati nel recinto degli scavi, da un grande viale
si gode l'insieme dei quartieri della città
dissepolta. Seguendo un itinerario rapido dei Vecchi
Scavi, noteremo la Casa di Aristide, che è la prima
abitazione che s'incontra, poi la Casa d'Argo, così
chiamata perché vi fu rinvenuto un bel dipinto di Io
guardata da Argo; la Casa del Genio così chiamata da
un Genietto alato; botteghe e modeste case di «
mercatores ». L'angolo sud-ovest di questa « insula
», con due abitazioni e due botteghe, fu messo in
luce tempo fa, mentre scavi più recenti ci hanno
dato la Casa del cosiddetto Albergo, la più ricca
abitazione del quartiere meridionale della città,
per cui si pensò in un primo momento che si
trattasse di un albergo o di una basilica. La
costruzione ha un ingresso principale e un ingresso
secondario e si divide in quartiere dell'atrio,
quartiere del peristilio, quartiere della terrazza
porticata, quartiere del piano inferiore e dei
sotterranei. Conviene visitare poi la Casa
dell'Atrio a Mosaico, così chiamata per la sua
singolare decorazione, una delle case panoramiche
del quartiere meridionale della città; essa è divisa
in due parti; l'ingresso, l'atrio, il tablino e il
portico con le stanze e le sale di rappresentanza
sulle terrazze. Un portico fenestrato unisce le due
parti della casa. Dalla parte meridionale del
portico si entra nel quartiere della casa con una
sala tricliniare al centro. Risalendo quindi lungo
il marciapiede sinistro troveremo la Casa dell'Erma
di Bronzo, piuttosto piccola, ma interessante perché
ha conservato il carattere originale della casa di
tipo sannitico: all'interno vi è un ritratto in
bronzo del proprietario della casa. Proprio di
fronte vi è la Casa dell'Alcova e un pianerottolo
formato da due case affiancate intercomunicanti fra
loro. Su di un atrio coperto si apre una sala
bicliniare dalla quale un lungo corridoio conduce ad
un'alcova. Tralasciando alcune cose di scarso
interesse ritornando indietro sul marciapiede di
fronte, troveremo la Casa a Graticcio, di tipo
popolare, costruita con materiali più economici e
cioè in « opus craticium », consistente in un
graticciato di canne: essa rappresenta l'esempio di
una casa di fitto e non padronale; vi è poi un
portichetto ed un loggiato. All'angolo troviamo la
Casa del Tramezzo di Legno, che rappresenta uno dei
più completi esempi di prospetti architettonici
ercolanesi e pompeiane, una casa patrizia che doveva
estendesi per l'intera profondità dell'« Insula ».
Il nome è dato dal tramezzo di legno a tre porte
bivalvi che veniva a chiudere l'apertura del
tablino, dietro il quale vi è un giardinetto con un
portichetto a pilastri.
Nel « decumanus inferior » vi è una serie di
botteghe e abitazioni.
Si visiti poi la Casa dello Scheletro, così chiamata
perché negli scavi del 1831 vi fu rinvenuto uno
scheletro: si tratta dì una casa modesta con
ambienti angusti, ma il suo atrio è del tipo
testudinato, che a Pompei è raro. Vi è un ninfeo,
formato da due vasche rettangolari rivestite di
marmi ed una elegante sala absidata alle spalle del
tablino. Incontreremo poi la Casa con Due Atri, e le
Terme urbane, comprese fra il « decumanus inferior
» e quello « major », la cui epoca di costruzione
risale al primo periodo augusteo (10 a.C.) mentre
la decorazione è posteriore, d'età Claudia o
neroniana: anche questo edificio è stato posto in
luce di recente. Lo stabilimento aveva Tenne
Maschili e Terme Femminili; nelle prime troviamo
una vasta sala a zoccolo rosso decorata di stucco
con il pavimento in « opus segmentatum ». Sulla
parete di fondo, in un'abside vi è una tazza di
marmo cipollino e in un angolo una vaschetta per le
abluzioni delle mani e dei piedi : si entra poi
nella vasca rotonda del « frigidarium » con le
pareti a fondo rosso e la grande sala del «
tepidarium » e infine si esce nel cortile della
Palestra, contornata da un portico. Le Terme
Femminili sono piccole e meno belle di quelle
maschili : manca la vasca del « frigidarium », anche
se gli ambienti sono più suggestivi. La stanza del «
tepidarium », più piccola della precedente, ha un
pavimento a mosaico; il « calidarium » ha una grande
vasca in marmo e al podio circolare un « labrum »
per abluzioni d'acqua fredda.
Subito dopo le Terme, vi è la Casa del Salone Nero,
signorile abitazione contornata da portico e
colonne: alle pareti vi è un'edicola che serviva a
contenere le statuette di un Larario. Tornando
indietro incontreremo la Casa Sannitica, la Casa
del Telaio, la Casa del Mobile Carbonizzato, la Casa
del Mosaico di Nettuno e di Anfitrite, e, preceduta
da una facciata con finestrine la Casa del bel
Cortile. Indi, raggiungendo il decumano maggiore,
troveremo una Casa Nobile che originariamente era
collegata con l'attigua Casa del Bicentenario,
finita di scavare nel 1938 e così chiamata perché
quell'anno scadeva il secondo centenario dei primi
scavi di Ercolano effettuati nel 1738. Seguono altre
botteghe e abitazioni. Si raggiunge quindi il «
decumano maggiore », molto ampio, con marciapiedi e
porticato lungo il tratto scoperto. Sulla piazzetta
del trivio vi è la Fontana di Ercole; all'inizio del
decumano vi è un quadriportico che conserva ancora
le decorazioni di stucco a rilievo che era
l'ingresso all'area del Foro. Incontriamo quindi la
Casa dell'Atrio Corintio, di pochi ambienti,
preceduta da un portichetto che si apre all'interno
su un grazioso atrio polistilo a sei colonne. In
fondo all'atrio vi è la sala tricliniare. Segue la
Casa del Sacello in Legno: il sacello lascia
intravedere nell'interno le statuette delle
divinità. Vi è poi la Casa con Giardino, molto
modesta, e girando sul « decumanus inferior », la
Casa del Gran Portale chiamata così per il bel
portale a semicolonne di laterizio; lungo le pareti
fusti di colonne in tufo; di fronte vi sono varie
botteghe. Vi è poi un grazioso fabbricato di più di
80 metri di fronte che doveva essere una pubblica «
palestra » o un « gymnasium »; si entra all'interno
del portico e del cortile dove sono in luce
l'ambulacro e il colonnato e le colonne corinzie di
tufo e mattoni che sono state ricomposte e sono al
loro posto. Al centro vi è una grandiosa sala, ai
lati due altre sale minori. A sud della Palestra vi
è un Pistrinum, vale a dire un forno e mulino, oltre
12 botteghe e alcune case.
All'angolo del decumano inferiore vi è la Fontana di
Nettuno e dopo un'Abitazione e Bottega, la Casa
della Stoffa e la Casa dei Cervi che occupa un vasto
rettangolo di 43 metri di lunghezza dividendosi in
due quartieri principali. Vi sono stati trovati
due gruppi di cervi assaliti dai cani da caccia
che indubbiamente sono i più bei gruppi animalistici
della scultura ercolanese.
Dalla Casa dei Cervi raggiungiamo la Casa della
Gemma, così chiamata per una gemma con ritratto
femminile che vi fu ritrovata: l'atrio ha pareti
con pilastri e un « prostylon » di colonne verso il
tablino, la cucina è ben conservata e sulla parete
della latrina un buontempone ha lasciato il ricordo
che un certo « Apollinaris madicus Titi imperatoris
hic e... bene ».
Segue la Casa del Rilievo di Telefo che è una delle
più doviziose abitazioni del quartiere meridionale
della città: l'atrio ricorda le forme degli « oeci
corynthii » che erano nobili sale porticate. In un
ambiente che precede il salone si trovò un rilievo
di arte neoattica raffigurante Telefo. Uscendo dalla
Porta Marina si raggiunge la città antica, dove
troviamo sepolcri di cittadini illustri. Addossate
alla Casa della Gemma e alla « Casa del rilievo di
Telefo » vi sono le Terme Suburbane. Dall'ingresso
si accede al vestibolo con bella erma Apollinea, di
marmo greco. Si passa poi nel « praefurnium » e poi
al « frigidarium », al « tepidarium », al «
laconicum » e al « calidarium » con « labrum » per
immersioni.
Interessante è la visita del Teatro antico della
città, il cui emiciclo della « cavea » era, come
quello del teatro di Napoli, costruito su archi e
pilastri a doppio ordine di 19 archi ciascuno. Due
sale conducevano alla « media cavea ». La « summa
cavea » con statue in bronzo era fiancheggiata da
statue equestri in bronzo. L'opera è di età augustea
e postaugu-stea; di età Claudia e neroniana per la
parte decorativa. La costruzione fu fatta per
desiderio di Lucio Annio Mammiano Rufo Duumviro ad
opera dell'architetto Numisio.
Uscendo dall'ingresso dei nuovi scavi per il Corso
Ercolano ci troveremo all'entrata superiore del
Teatro. Dal vestibolo si discende per una gradinata:
sette vomitori immettono nella « cavea »; si
discende poi al piano dell'orchestra intramezzata da
grandi piloni di sostegno. Il fronte del proscenio
ha ai lati due basi, una di riconoscenza a Marco
Nonio Balbo, proconsole della provincia di Creta e
di Cirenaica, illustre cittadino di Ercolano e
l'altra dedicata ad Appio Claudio Pulcro, console
che benemerito dalla città. Vi sono dei capitelli e
alle spalle della scena avanzi della decorazione che
rivestiva i pilastri e gli archi. Per il cunicolo
esterno a destra della scena si risale all'uscita.
La Villa suburbana dei Papiri, nella quale furono
trovate opere d'arte e numerosi papiri, è
attualmente inaccessibile perché nel 1756 fu
abbandonata e risepolta sotto i lapilli e la lava.
Essa si estendeva per circa 250 metri, fra la Via
Cerere e il Vico Mare; costruita sulle lave
preistoriche era la casa ideale per una persona
colta. Non se ne è mai conosciuto il proprietario,
ma alcuni hanno ritenuto di poter dedurre che
appartenesse a L. Calpurnio Pisone Cesonino,
suocero di Giulio Cesare e nemico acerrimo di
Cicerone.
Da un breve esame delle piante della villa che
furono eseguite dal suo scopritore, Carlo Weber, si
deduce che l'interno era costituito dal quartiere
dell'ingresso e dell'atrio, dal quartiere del primo
peristilio; venivano poi gli alloggi e infine il
quartiere del grande peristilio. Lungo l'ambulacro
del peristilio furono trovate numerose opere d'arte,
fra cui il gruppo delle Danzatrici, il Fauno
dormente, il Fauno ebbro, il Mercurio, i Lottatori,
i Daini e la statua dell'oratore Eschine.
Prima di giungere a Pompei ci fermeremo brevemente a
Torre del Greco per visitare la piccola reggia
chiamata La Favorita. Essa fu costruita
inizialmente dal duca Beretta di Sinari e marchese
di Mesagna, poi acquistata e rifatta da don Stefano
Reggio Gravina.
Nel 1786 il Gravina vi offrì un sontuoso ricevimento
in onore di Maria Carolina d'Austria, giovane sposa
del re, e la villa piacque tanto alla sovrana che
il principe volle offrirgliela. Infatti il dono fu
tanto gradito che Carolina volle chiamarla appunto «
La Favorita ».
Durante il regno di Ferdinando IV, fino al 1799, la
Favorita fu sede dell'Accademia Militare di Marina
che si trasferì a Napoli nel convento di San
Severino dopo l'espulsione dei frati. Dopo la
Repubblica Partenopea e il ritorno del re, avvenuto
il 27 giugno 1807, con la costruzione di un approdo
nei pressi del Granatello, la Favorita divenne «
Regal dimora ».
Ferdinando IV provvide ad ampliare e arricchire la
villa con giardini e boschetti, in parte espropriati
all'attigua proprietà della famiglia Zezza: la
costruzione fu ristrutturata dal Fuga, che vi creò
due ingressi che immettevano in due ampi e
verdeggianti cortili dai quali poi, si entrava nei
giardini.
Al primo piano vi era la gran sala centrale, alla
quale si accedeva per due imponenti scaloni di
marmo, decorata con busti e grandi medaglioni
rappresentanti le aristocratiche viennesi che
avevano accompagnato la sovrana a Napoli per la
cerimonia nuziale. Al secondo piano vi era una sala
ellittica con camere intorno, delle quali alcune
guardavano verso il mare, altre verso il Vesuvio.
In una delle sale fu messo un pavimento di marmo che
fu tolto dalla villa romana di Tiberio a Capri.
Verso levante vi era un bel salone con un'imponente
biblioteca, anche se si diceva che dietro le cortine
dì seta di San Leucio di libri non ve ne fossero!
La piccola reggia fu usata per « week-ends » e per
brevi soggiorni. Anche qui, re Gioacchino riordinò
da capo gli appartamenti e li arricchì di opere
d'arte, per far ritornare la palazzina una degna
dimora reale. I monarchi francesi si servirono molto
di questa reggia per balli e ricevimenti al Corpo
Diplomatico rimasto nella capitale; infine nel 1814,
rientrando dall'Elba vi rimase ospite Paolina
Bonaparte, diletta sorella di Napoleone.
Tornati a Napoli i Borbone, a re Gioacchino non
rimase che lasciare tutto al « vecchio padrone ». La
villa ritornò al suo sfarzo, come in occasione del
ricevimento del Principe Ereditario per la figliola
Maria Carolina andata sposa al duca di Berry: di lì
partì la coppia per Marsiglia sulla fregata della
Marina Borbonica « Sirena » accompagnata dai conti
la Tour e dal principe di San Nicandro. La villa poi
passò in uso al Principe di Salerno don Leopoldo di
Borbone; fu una fortuna per gli abitanti di Torre
avere Sua Altezza nella Villa, perché i suoi
giardini divennero un parco di divertimenti a
vantaggio dei bambini e dei giovanetti del luogo. Il
Principe seppe, come al solito, farsi benvolere da
tutti e, quando nel 1815 morì, lasciò gran rimpianto
tra gli abitanti. La villa divenne automaticamente
proprietà di re Ferdinando II che volle ancora
abbellirla incaricandone i pittori Paliotti,
Maldarelli ed Enrico Alvino.
Caduti i Borbone, la Reggia fu divisa in due parti:
la Casina verso il mare fu venduta a privati, mentre
la parte interna della villa passò al Demanio. Fu
messa alla pubblica asta nel 1889 per lire
391.112.78, ma la vendita fu sospesa perché ne fu
richiesto l'acquisto a trattativa privata da parte
dei RR. Educandati Femminili; il Duca di Sandonato,
però, vi si oppose per darla in vendita ai principi
di Santobuono. Ritornata al Demanio e poi
all'Amministrazione Provinciale, la villa diventò la
sede del Convitto degli Orfani dei Caduti in
Guerra.
La graziosa cittadina di Torre del Greco è molto
antica; si fa risalire la sua costruzione al VI
secolo, ma soltanto nel secolo XIII, durante il
regno di Federico II di Svevia, vi fu costruita
quella « Turris Octava » da cui prese il nome.
Sembra che la torre fosse costruita sul luogo dove
vi era stata una grande villa di Ottaviano Augusto,
ma questa non è che una supposizione come quella,
che raccontiamo per cronaca, che l'appellativo « del
greco » deriverebbe dall'uva « greca » che
producevano alcuni vigneti. La fiorente cittadina fu
gravemente danneggiata dalle eruzioni del Vesuvio
del 1631, del 1794 e del 1861 ma si è sempre ripresa
grazie alla sua industriosità.
Una delle più redditizie attività di Torre del Greco
è quella della lavorazione del corallo, le cui
tradizioni risalgono a parecchi secoli: la pesca del
corallo, che si effettuava nelle acque della
cittadina sin dai tempi antichi, fu spostata poi
verso mari più pescosi e i marinai torresi già nei
secoli scorsi si recavano sino in Corsica e in
Sardegna con una piccola flotta specializzata per
questa pesca. Attualmente il corallo non è molto di
moda e quindi questa industria risente della scarsa
richiesta: gli artigiani torresi però continuano ad
insegnare questa tecnica industriale nella Scuola di
incisione sul corallo e di arti decorative affini.
La cittadina ha anche un Museo del corallo
che si trova in piazza del Popolo, annesso alla
scuola di cui abbiamo precedentemente parlato. Le
principali strade del centro sono il corso Vittorio
Emanuele dove vi è la casa ove morì Ruggero Bonghi,
piazza Santacroce, dove vediamo la Chiesa di
Santacroce, in stile neoclassico, edificata su una
chiesa del secolo XVI che fu distrutta dalla lava
vesuviana nel 1794; all'interno si conserva un bel
dipinto di Diego Pesco raffigurante l'Invenzione
della Croce. Fra le belle ville del 700 di Torre
del Greco ricordiamo l'imponente Villa Balzano
Prota edificata da Ferdinando Fuga e Villa
Vallelonga. Per via Leopardi si può raggiungere
Villa delle Ginestre, nella quale soggiornò a
lungo Giacomo Leopardi, che vi scrisse la famosa
lirica da cui la villa prese il nome: essa
apparteneva ad un cognato di Antonio Ranieri,
l'amico del poeta che lo ospitava anche a Napoli.
Una simpatica gita è quella ai Camaldoli di Torre,
dove sorge un convento costruito nel 1716 per i
monaci camaldolesi; attualmente invece riteniamo che
vi siano dei padri Redentoristi, appartenenti allo
stesso Ordine esistente nella basilica di Pompei.
Prima di giungere in questo importantissimo centro
passiamo per Torre Annunziata, che è il
proseguimento di Torre del Greco, che è un po' il
fulcro dell'industria della pasta alimentare. Ci
appaiono sulla destra i monti Lattari, di fronte il
monte Faito e il monte Sant'Angelo a tre Pizzi e in
men che non si dica si giunge a Pompei Scavi, che
precede di circa un paio di Km. la cittadina moderna
sorta intorno al Santuario.
Infatti il nome di Pompei è oggi famoso, oltre che
per la sua importanza agli effetti della valutazione
della civiltà e dell'arte pagana, perché è divenuta
sede di uno dei più noti santuari della fede
cristiana, quello della Vergine del Rosariot
dovuto alla pietà di Bartolo Longo.
Le origini di questa città risalgono, a quanto
comunemente si ritiene, al periodo osco, ed il suo
nome deriva dal greco e dall'osco: la sua
fondazione si fa risalire al VI secolo a.C, ma è
probabile che esistesse sin dalI'VIIl. secolo.
Pompei seguì più o meno la sorte di Napoli;
attaccata dagli etruschi si alleò con i greci di
Palepoli e di Cuma. Presa poi dai Sanniti nel V
secolo fu ampliata e quando la Campania fu
conquistata dai romani dopo aver cercato di
difendersi nel 310 a.C. dalla flotta romana si
arrese. Quando Siila nell'89 a.C. prese Stabia,
assediò Pompei occupandola completamente: da allora
la città divenne colonia romana e fu chiamata
Colonia Cornelia Veneria. Nel 59 d.C, come
apprendiamo da Tacito, i pompeiani si ribellarono a
questo stato di cose ed avvenne una rissa
nell'anfiteatro della città che provocò la
proibizione dei ludi gladiatorii. Proprio quando
stava rifiorendo e si stava riprendendo, nel 79 d.C.
il piccolo centro fu distrutto dall'eruzione del
Vesuvio, ma mentre Ercolano fu sepolta dal fango
Pompei fu investita da cenere e lapilli che
lasciarono uno spessore solidificato di circa sette
metri. La vita nella zona non riprese prima del II
secolo nei pressi della località chiamata Civita.
Furono effettuati alcuni scavi alla fine del secolo
XVI, sembra sotto la direzione dell'architetto
Domenico Fontana, ma le prime vere esplorazioni si
fecero nel 1748 per desiderio di Carlo di Borbone. I
lavori continuarono con i successori di re Carlo,
anche durante il periodo francese, e dopo l'unità
d'Italia furono affidati ad eminenti studiosi come
Giuseppe Fiorelli, Michele Ruggiero, Giulio De
Petra, Antonio Sogliano e Vittorio Spinazzola: sono
stati poi ripresi in questo secolo da Amedeo Maiuri
e proseguono ancora.
L'ingresso agli scavi adiacente all'uscita
dell'Autostrada Napoli-Pompei, è sito presso la
Porta Marina della città romana, dopo la quale
troviamo ben presto l’Antiquarium. Prima di entrare
osserviamo i busti di tre archeologi: Giuseppe
Fiorelli, Michele Ruggiero e Augusto Mau, che hanno
dedicato molti anni della loro vita agli scavi di
questo centro archeologico e, nella parete di fondo
la pianta topografica di Pompei del 1848, anno in
cui fu inaugurato l’Antiquarium che fu poi distrutto
nel 1943 dai bombardamenti alleati.
Dalla terrazza si osserva una parte di cinta muraria
risalente al IV secolo a.C: nella spianata delle
mura vi era, agli inizi dell'era cristiana, la
magnifica Villa di Porta Marina, distrutta dal
terremoto del 62 a.C.
Entriamo ora nell’"Antiquarium: nell'ingresso
vedremo una mensa su trapezofori e alle pareti
sculture decorative. Si passa nella I Sala, dove
sono raccolti gli oggetti del periodo primitivo,
esposti in vetrine. Nella II Sala vi è materiale
della Pompei sannitica: graziosi capitelli alle
pareti, vasellame sannitico e in fondo il frontone e
l'area del santuario dionisiaco. Segue la Stanza di
Livia al cui centro è la statua trovata nella Villa
dei Misteri.
La III e la IV Sala contengono suppellettili
domestiche della Pompei romana, statuette bronzee di
amorini, vasellame in bronzo, aghi crinali in osso,
la preziosa situla trovata nella Casa di Menandro,
ornamenti in oro, osso, avori intagliati, statuette
di divinità, corredo femminile in oro e argento. Nel
passaggio vi sono alcune impronte umane, fra cui il
calco del cadavere di una giovane e quello di un
cane che cerca di ilberarsi dalla catena.
Nell'altra sala che diremmo dedicata all'artigianato
e al commercio, vi sono strumenti di lavoro e
residui di cibi: al centro della sala vi è il
modello di una villa rustica con una azienda
vinicola.
Dopo aver visitato Porta Marina e l’Antiquarium
passeremo presso l'area sulla quale sorgeva il
Tempio di Venere, che già era stato danneggiato da
un terremoto prima della fatidica eruzione del 69.
Giungeremo quindi al Foro, che misura metri 38 di
larghezza per 142 di lunghezza: a sinistra vi è il
Tempio di Apollo, che esisteva sin dall'epoca
sannitica e fu rifatto nel periodo imperiale con un
portico di 48 colonne; davanti alla scalinata vi era
l'ara e in cima a una colonna un orologio solare. Di
fronte vi è un porticato sotto il quale notiamo le
statue in bronzo di Apollo e dì Diana, copie degli
originali che si trovano al Museo Archeologico di
Napoli.
Ecco a destra la Basilica, del 120 a.C, da ritenersi
il più importante edificio pubblico di Pompei. Essa
ha una larghezza di 24 m. e la lunghezza di 55, ed
è divisa in tre navate da 28 colonne in laterizio;
in fondo vi è il podio del tribunale con due ordini
di colonne. Accanto alla basilica vi erano gli
Uffici municipali e all'angolo con via
dell'Abbondanza il « comitium ». Proseguendo e
svoltando a destra si trova la Casa del Cinghiale,
così chiamata da un mosaico raffigurante l'animale
che è assalito da due cani. Tornati al « Comitium »,
vediamo di fronte l'Edificio della sacerdotessa
Eumachia; segue il Tempio di Vespasiano con la bella
ara in marmo e poi il Santuario dei Lari costruito
dopo il terremoto del 62 d.C. A destra troviamo il
Macellum, o mercato coperto, e a sinistra il Tempio
di Giove, dedicato anche a Giunone e Minerva, della
metà del II secolo a. C, che costituiva il
Campidoglio di Pompei. Esso già era stato
danneggiato dal terremoto prima dell'eruzione.
Troviamo quindi il posto di ristoro, di fronte agli
Uffici della Direzione degli scavi; a sinistra, in
via Delle Terme, vi sono la Terme del Foro dell'80
a.C, che erano divise in due sezioni: maschile e
femminile. Vi erano uno spogliatoio, il «
fri-gidarium », il « tepidarium » e il « calidarium
» e una palestra.
Per la nostra strada, dedicata a Mercurio, a destra
troviamo il Tempio della Dea Fortuna Augusta fatto
erigere dal tribuno Marco Tullio nel 3 a.C. Al
quadrivio con via Delle Terme e via della Fortuna vi
è la Casa del Fauno, dove fu trovato un bronzo
raffigurante un Fauno danzante che è attualmente al
Museo Archeologico di Napoli. All'ingresso ci
accoglie il saluto Have sul pavimento in marmo
colorato; le pareti sono dipinte ad imitazione di
decorazione di marmi policromi: seguono l'atrio, e
ai lati del tablino le stanze triclinari, l'atrio
piccolo e il primo peristilio di 28 colonne ioniche,
al cui centro si ammira una grande vasca con
fontana. Ritornando su via della Fortuna vediamo la
Casa della Parete Nera, che ha in una sala eleganti
pannelli di amorini su fondo nero; quella dei
Capitelli figurati, di epoca sannitica e quella
della Caccia di epoca preromana.
Se si vuole visitare la Casa del Poeta tragico si
passi sotto l'Arco di Caligola in via del Mercurio;
vi sono la Casa dell'Ancora, con un bel giardino, la
Caupona o Osteria, la Casa della Fontana Grande, la
Casa della Fontana Piccola, la Fullonica,
ovvero la tintoria, e finalmente la Casa del poeta
tragico, nel cui ingresso fu trovato il mosaico col
cane da guardia e la scritta « Cave canem ». Segue
la Casa di Pansa, d'età sannitica, divisa in
appartamenti da fitto e poi, imboccando la via
Consolare, la Casa di Sallustio, del periodo
sannitico con ai lati dell'ingresso alcune botteghe;
uno dei dipinti che vi esistevano, quello
raffigurante Atteone che sorprende Arianna al bagno,
fu distrutto da un bombardamento nella II guerra
mondiale. Troviamo poi la Casa del chirurgo, così
chiamata perché vi fu trovata un'attrezzatura
chirurgica: essa fu costruita nell'età calcarea;
segue la Casa delle Vestali e si giunge poi alla
Porta Ercolano, che è a tre fornici.
Prendiamo ora via del Mercurio, dove troviamo la
Casa di Apollo, con pitture raffiguranti la Gara
musicale tra Apollo e Marzio-, la Casa di Meleadro,
del periodo sannitico, con graziosa decorazione
pittorica, nella quale a destra del peristilio si
ammirano tre sale, la centrale con colonnato di
stile greco. Accanto vi sono la Casa del Centauro e
la Casa di Adone dove si ammira un interessante
dipinto che rappresenta Venere con Adone ferito, la
Casa di Castore e Polluce, la Casa del Labirinto e
infine la sontuosa Casa dei Vettii, appartenuta a
due mercanti chiamati Aulo Vettìo Restìtuto ed Aulo
Vettio Conviva, che costituisce un magnifico esempio
di una casa romana pompeiana di persone facoltose;
dovè essere costruita dopo il 62 d.C ed è ricca di
decorazioni pittoriche. Vi noteremo nel vestibolo
una raffigurazione di Priapo, dio della fecondità,
la cui visione è sconsigliata alle signore, e nelle
altre stanze numerosi dipinti che raffigurano
Arianna abbandonata, Ero e Leandro, Ciparisso
dolorante, Pan e Amore in lotta, Giove in trono e
Leda con Danae. Nell'atrio vi sono pannelli con
combattimenti di galli, una Testa di Medusa, e una
Testa di Sileno; nel Larario vi è il Genio capo di
famiglia fra due Lari e nelle altre camere ancora
una pittura oscena consigliabile solo agli adulti.
Si passa poi al quartiere femminile con triclinio e
portichetto e quindi al gran peristilio col
giardino, dove sono state trovate le antiche
condutture idriche. La sala triclinare è decorata a
fondo rosso con riquadri ma i dipinti che dovevano
essere nei riquadri sono andati distrutti. È rimasta
invece la serie degli Amorini che eseguono vari
lavori sulla striscia sopra la zoccolatura. Nei
riquadri centrali delle pareti lunghe, vi sono
dipinti raffiguranti Agamennone che uccide la cerva,
Apollo che vince il serpente Pitone e Oreste e
Pilade davanti a Toante ed Ifigenia. Lateralmente vi
sono coppie amorose come Perseo ed Andromaca,
Dionisio ed Arianna, Apollo e Dafne ed in ultimo
Poseidone ed Amimone. Dal triclinio grande passiamo
al più piccolo, anch'esso decorato con pitture che
raffigurano Dedalo che mostra a Pasifae la vacca di
legno, Issione che presente Giunone è legato da
Vulcano sulla ruota, Epifania di Dionisio ad
Arianna; nella sala più grande che è sull'altro Iato
dell'atrio Ercole bambino che strozza i serpenti,
Penteo dilaniato dalle baccanti e sulla destra //
supplizio di Dirce.
Segue la Casa degli Amorini che appartenne a Cnaeo
Poppeo Abito, le cui pareti sono decorate appunto da
graziosi Amorini: questa casa è un esempio
dell'abitazione di un patrizio all'epoca di Nerone.
Essa presenta bei pavimenti a mosaico con la
raffigurazione di Leda col cigno e di Mercurio
volante; nella parete di fondo del tablino vi è un
dipinto che rappresenta Paride ed Elena a Sparta.
Superato l'atrio si entra nel peristilio dove si
ammira un frammento in marmo con un Sileno; alle
pareti del triclinio vi sono altre pitture, i cui
soggetti sono Tetide nell'Officina di Vulcano,
Giasone calzato di un sandalo dinanzi a Pelia,
Achille, Briseide e Patroclo nella tenda. In
un'altra stanzetta vi sono ancora dipinti
raffiguranti Diana ed Atteone, Leda, e Venere
pescatrice. La casa degli Amorini dà sulla via di
Stabia, sulla quale vi è in fondo Porta Vesuvio.
Sull'altro lato della strada notiamo la Casa di
Orfeo e la Bisca, che ha nella facciata delle
pitture oscene. La casa di Orfeo appartenne a
Vesconio Primo; ma è così chiamata perché vi è una
pittura raffigurante Orfeo tra le fiere. Di fronte
vi è la Casa di Lucio Cecilio Giocondo, dove fu
trovata una cassa con tavolette cerate di quietanza:
si raggiunge poi il quadrivio di Orfeo e a sinistra,
sulla via di Nola, la Casa del Torello, del periodo
sannitico. Ancora lungo questa strada troviamo la
Casa della Regina Margherita, che contiene pitture
raffiguranti Leda col cigno, Poseidon con Ami-mone,
Giove e Danae, Meleagro e Atalanta, Narciso, Arianna
abbandonata e la Pazzia di Licurgo. Segue la Casa
delle Nozze d'Argento, che ha questo nome perché fu
scavata nel 1893, anno in cui si festeggiarono
appunto le nozze d'argento dei sovrani. Vi si ammira
un imponente atrio tetrastilo con gigantesche
colonne corinzie, ambienti grandiosi e un bagno
privato.
Sempre in via di Nola sulla destra segue la Casa di
Marco Lucrezio Frontone, di età imperiale, con
pitture raffiguranti Le nozze dì Venere e di Marte,
La pompa trionfale di Bacco, Neottolemo ucciso da
Oreste a Delfi, Narciso alta fonte e Pero che
ammazza il padre Micone, Teseo ed Arianna e la
Toletta di Venere. Notiamo poi la Casa dei
Gladiatori e in fondo la Porta di Nola, che ha
sull'arco una Testa di Minerva.
Passando dall'altra parte della via vediamo la Casa
di Obellio Firmo e la Casa del Centenario, così
chiamata perché emerse dagli scavi nel 1879, uno dei
tanti centenari dell'eruzione vesuviana del 79.
Spazioso l'atrio con pavimento a mosaico; il
grazioso peristilio è decorato con riquadri gialli
con gli emblemi di Giunone, Apollo e Minerva. Nel
giardino vi è la piscina ed una fontana nel
cortile del peristilio.
Visiteremo ora le Terme centrali, il cui ingresso
principale è dalla via Stabiana; segue sulla via di
Stabia la Casa di Marco Lucrezio, decurione della
cavalleria e sacerdote di Marte, che ha un bel
giardino con erme in marmo e statuette
rappresentanti Sileno con l'otre, Satiri, Pan.
Vediamo poi la Casa di Gavio Rufo, il Forno del
panettiere Modesto, con le macine formate da pezzi
di lava vulcanica che erano azionate da schiavi, la
Casa dell'Orso, con un bel mosaico all'ingresso e
una fontana decorata a mosaico in fondo al
peristilio.
Troviamo quindi l'Albergo di Sittium con due
ingressi e di fronte il Lupanare, con figurazioni
oscene: seguono la Casa di Sirico, appartenuta ai
mercanti Sirico e Nummiano.
Importanti le Terme Stabiane, il cui ingresso è da
via dell'Abbondanza, una strada che conduce alla
Porta di Sarno. La parte più antica è quella sul
vicolo del Lupanare, mentre il lato occidentale è
dell'ultimo periodo. Usciti dalle Terme si incontra
la Casa di Cornelio Rufo, quindi voltando in via di
Stabia, dopo aver attraversata la via
dell'Abbondanza, in via del Tempio di Iside
troveremo il Tempio di Giove Melichios, ove era
adorata questa divinità secondo il culto greco
preromano; bella l'ara in tufo. Accanto vi è il
Tempio di Iside, e dietro questo una sala per la
riunione dei fedeli di questa dea. Segue la
Palestra Sannitica che fu costruita del questore
Vibio Vinicio, delimitata per tre lati da un
colonnato di ordine dorico.
Per via dei Teatri entriamo nel Foro triangolare, a
cui si accede passando per un grazioso propileo che
era costituito da sei colonne ioniche: la piazza ha
su tre lati un portico ionico costituito da 95
colonne ed al centro quanto rimane di un tempio
dedicato ed Ercole e a Minerva risalente alla
egemonia cumana. Sulla nostra sinistra vi è il
Teatro Grande, costruito fra il 200 e il 150 a.C. e
ingrandito dall'architetto Artorius nell'età
augustea. In questo teatro, nei mesi estivi si danno
spettacoli di notevole interesse a cura dell'Ente
Provinciale del Turismo di Napoli. I ruderi a
destra sono quelli della Caserma dei gladiatori e il
quadriportico serviva come « foyer » per gli
spettacoli del teatro ma in età neroniana fu
trasformato in caserma. Ancora alla nostra sinistra
vediamo il Teatro Pie-colo, che fu eretto tra l'80 e
il 75 a.C. da Quinzio Valgo e Marco Porcio, con una
capienza di 1000 posti. Se usciamo dalla via di
Stabia incontreremo la Porta di Stabia, che è forse
la più antica della città.
Si giunge ora alla bella Casa di Menandro,
appartenuta ad una famiglia patrizia e così
chiamata perché vi era un ritratto del poeta comico
ateniese che scrivendo più di cento lavori teatrali
fu l'alfiere della « commedia nuova greca ».
Nell'atrio si può ammirare il Larario ed a sinistra
dipinti raffiguranti il Cavallo di Troia, la Morte
di Laocoonte e l'Incontro nella reggia di Priamo di
Menelao e di Elena. Interessante è anche la Casa
degli Amanti, dove si può leggere un esametro che
dice che gli innamorati sono come le api poiché
succhiano il dolce della vita come quegli insetti il
miele. Segue la Casa del Citarista sulla via di
Stabia, così chiamata perché vi era una statua in
bronzo attualmente al Museo di Napoli che
raffigurava Apollo Citaredo.
Riportandoci sulla via dell'Abbondanza vediamo la
Casa del Criptoportico, così chiamata per
l'interessante criptoportico con la volta rivestita
di stucchi e decorata con Scene dell'Iliade. Seguono
la Casa di Lucio Celo Secondo, la Fullonica di
Stefano, che era una lavanderia e la Casa del
Larario con graziose decorazioni che riproducono
Scene dell'Iliade. Nella Casa di Paquio Proculo
troviamo nel vestibolo 77 cane a catena; la Casa
dell'Efebo è così chiamata perché vi si trovò
una statua raffigurante un Efebo, attualmente al
Museo Archeologico. Segue ancora la Casa del
sacerdote Amandus con un interessante triclinio e
pitture raffiguranti Polifemo e Galatea, Perseo e
Andromeda, Ercole nel giardino delle Esperidi, e
Dedalo ed Icaro. Sulla sinistra dello nostra strada
verso la Porta di Sarno troviamo l'Officina
Verecundus, dove si tessevano tessuti e si
confezionavano vesti; è seguita dai cenacoli, ove
erano altri tessitori e dal Termopolio di Asellina,
una bottega nella quale si poteva bere vino o altre
bevande. Poiché sulla facciata si leggono nomi di
donne come Asellina, Aegle e Smyrna, tutto lascia
pensare che in questa locanda non si dovesse
solamente... bere. Si passa poi alla Casa di Caio
Giulio Polibio, alla Casa del Bell'impluvio così
chiamata dalla bella decorazione a mosaico
dell'impluvio, a quella di Successus, alla Casa del
frutteto e alla Casa di Trebio Valente, il cui
peristilio è finemente decorato. Segue la Schola
Armaturarum, ove si insegnava l'uso delle armi e
accanto la Casa di Pi-nario Ceriate, che era
l'abitazione di un intagliatore di pietre preziose.
Sulla via dell'Abbondanza troviamo ancora la Casa
del Moralista, così chiamata per alcune massime che
sono dipinte nella sala triclinare e sulla destra la
Casa di Loreius Tiburtinus, che ha un grande
portale. Superato l'atrio e il peristilio vi è una
loggia a portico con un tempietto al centro decorato
con pitture raffiguranti Narciso e Piratno e Tisbe.
Un'altra sala triclinare ha un fregio con Scene
dell'Iliade ed Episodi dell'Eracleìde. Vi è poi la
Casa di Venere, così chiamata per una pittura che vi
fu scoperta nel 1952 che raffigura Venere Marina
scortata da amorini, e la Casa di Giulia Felice, dal
nome della proprietaria, ed in fondo alla via di
nuovo la Porta di Sarno. Rechiamoci ora
all'Anfiteatro, che fu costruito nell'80 a.C. con
una larghezza di 104 mt., una lunghezza di 135 e una
capacità di dodicimila spettatori. In cima alle
gradinate si vedono degli anelli di pietra che
servivano per il « velarium », una tenda che si
poteva stendere per ripararsi dal sole. Proprio di
fronte vi è la Palestra Grande con al centro una
vasta piscina; le sue dimensioni sono di 130 mt. per
140. In via Porta Nocera, dall'incrocio di via
dell'Abbondanza vi sono ancora altre case e
botteghe; tornando indietro la Casa del Larario di
Sarno, la Casa degli Archi e ritornando sulla via di
Nocera l'Orto dei Fuggiaschi, dove furono ritrovate
molte impronte di pompeiani che morirono mentre
tentavano di fuggire e infine la Porta di Nocera,
di epoca preromana.
Recandoci fuori della Porta Ercolano, che era
chiamata la Porta Saliniensis, inizia la via dei
Sepolcri che fu scoperta nel 1763. Questa strada è
molto importante e vi sono ancora alcune opere che
vai la pena di visitare. Così a sinistra della Porta
vi sono i Sepolcri di Mario Cerrinio Restituto, di
Aulo Velo, di Marco Porcio, da alcuni ritenuto
l'architetto dell'anfiteatro e del teatro coperto; e
quindi il Mausoleo degli Istacidi. Ritornando verso
la Porta, troveremo il Sepolcro di Marco Terenzio
Maggiore che gli fu eretto dalia consorte Fabia
Sabina, la cosiddetta Tomba delle Ghirlande, così
chiamata per le sue decorazioni festose, il Sepolcro
del Vaso bleu dove fu trovato appunto un vaso di
questo colore, oggi al Museo di Napoli, la Villa
delle Colonne a mosaico che aveva quattro colonne
che sono state trasferite a Napoli. Passando
dall'altro Iato della nostra strada incontriamo
altri edifici: Villa di Cicerone, il Sepolcro di
Umbricio Sauro, il Mausoleo circolare, il Sepolcro
di Caio Calvenzio Quieto, eminente augustale che
aveva ottenuto il « bisellium », ovvero il permesso
onorifico di poter sedere in teatro con i decurioni,
i Sepolcri di Numerio Istacidio Eleno e della
famiglia, i Sepolcri di Nevoleia Tyche, di Caio
Munazio Fausto e dei liberti e infine la bellissima
Villa di Diomede. Questa ha nel peristilio un
grazioso portico con bagno e piscina e una gran sala
a tre finestre: segue il tablino con loggia e
terrazza dalla quale per una scala si passa nel
giardino, molto grande, forse il più grande
esistente in questa antica città, con piscina,
fontana e triclinio per il periodo estivo. Lo
contorna un interessante quadriportico a pilastri e
finestre. Continuando vediamo il Sepolcro di Marco
Alleio Lucio Libella e del figlio, costruito per
volere della consorte di Marco Alleio, Decimilla,
sacerdotessa di Cerere, il Monumento di Lucio Celo
Labeone, il Sepolcro di Marco Arrio Diomede magister
pagi Augusti felicis suburbani, di forma
rettangolare.
Uscendo dagli scavi si entra nel viale della Villa
dei Misteri e girando a destra si vede appunto
questa Villa che è da ritenersi la più illustre e
storica che sia stata trovata a Pompei.
A forma di quadrilatero essa fu costruita in ripido
pendio. Danneggiata dal terremoto del 62, fu
venduta ad un rustico mercante che le fece perdere
parte del « cachet » di villa patrizia. Di gran
rilievo è la Sala del Grande Dipìnto, con magnifico
pavimento in marmo e alle pareti una importantissima
composizione pittorica il cui autore fu un campano
del I secolo a.C. Questa composizione, che consta di
ben 29 figure, è da ritenersi un'opera nel suo
genere unica o perlomeno rarissima: essa raffigura
un invito delle spose ai « misteri dionisiaci ».
Infatti la « matrona » proprietaria era un ministro
del culto di Dioniso. Notevoli anche l'atrio, il
peristilio e il vestibolo; infine percorrendo il
corridoio a sinistra del peristilio si raggiunge il
« torcularium », che era il luogo in cui si faceva
il vino, dove vi è un torchio rifatto.
Dopo aver parlato della Pompei Pagana, non possiamo
non soffermarci brevemente sulla Pompei Cristiana,
sorta nel 1873 per opera di Bartolo Longo che,
devotissimo della Vergine del Rosario, vi fondò il
Santuario aggregandovi varie opere di carità come
Orfanotrofi ed Ospizi.
La costruzione, iniziata nel 1876 su disegno di
Antonio Cuva, è stata ultimata nel 1939 su progetto
di un prelato ingegnere, don Spirito Chiappetta,
mentre la facciata, su disegno di Giovanni Rispoli,
fu terminata nel 1901 con la posa in opera della
statua della Vergine del Rosario di Gaetano
Chiaramonte. La torre campanaria, alta ben 82 metri,
a cinque piani, fu costruita su disegno di Aristide
Leonori ed ultimata nel 1925. La chiesa, a croce
latina a tre navate, vanta una dei più moderni e più
perfetti organi. Sull'altare maggiore vi è
un'antica tela raffigurante la Vergine racchiusa in
una ricca cornice bronzea con ai lati i Misteri del
Rosario dipinti da Vincenzo Paliotti. Vi sono nel
santuario dipinti di Federico Maldarelli, di
Silverio Capparoni, di Orazio Orazi e di Ponziano
Loverini, il candelabro del Cero Pasquale di
Vincenzo Ierace e una tavola raffigurante S. Paolo
attribuita a fra' Bartolomeo.
Terminata la visita a questa cittadina tanto ricca
di arte, di storia e di misticismo, nel tornare a
Napoli, invece di fare la strada esterna dei comuni,
sarebbe preferibile prendere l'autostrada
Napoli-Pompei. Potremmo quindi recarci sul Vesuvio,
che abbiamo vicinissimo e possibilmente farvi una
breve ascensione. Innanzitutto daremo qualche cenno
storico su questo vulcano o meglio su questo monte
gemino o bicipite che è il monte Somma-Vesuvio. Non
si può parlare di Napoli senza parlare del Vesuvio,
che sovrasta il golfo e il panorama della città: la
cima più bassa a sinistra è il monte Somma e quella
sulla destra, dal cono tronco, è il Vesuvio, vulcano
attivo anche se da molti anni ha perso il suo
pennacchio... di fumo.
Questi due monti rappresentano il tipo di vulcano
detto a recinto, di cui il Somma deve considerarsi
il cono primitivo; le sue eruzioni risalgono
infatti al secondo periodo eruttivo della zona
flegrea. L'altezza massima del monte Somma è di m.
1132, mentre quella del Vesuvio si aggira
attualmente sui 1270 rat.; prima del 1906 era di
1336 mt. Sino al 79 d.C, quando avvenne l'eruzione
che seppellì Pompei sotto una coltre di cenere e
lapilli, questo vulcano era conosciuto più che altro
per i suoi vigneti, che davano un vino eccellente.
Lo ricorda infatti con gran simpatia Strabone,
recatosi a visitarlo nel 19 d.C. e da lui
apprendiamo che la zona circostante aveva delle
strade lastricate con massi di lava preistorica e
con lava presa direttamente dai detriti di eruzione
vulcanica. II vulcano doveva essere una montagna
unica prima che l'eruzione distruggesse Pompei ed
Ercolano; secondo un affresco che fu rinvenuto nella
« Casa del Centenario » a Pompei sembra che fosse
isolato, e fin da allora il vino dei suoi vigneti
doveva essere eccellente, poiché in questo dipinto è
ritratto Bacco, il dio del vino. Seneca ci ha
tramandato il furioso terremoto del 62, mentre la
trattazione più completa dell'eruzione del 79 la
dobbiamo a Plinio il Giovane su richiesta di Tacito:
sappiamo infatti che una delle vittime più insigni
fu Plinio il Vecchio. Riteniamo inutile soffermarci
sulla storia e principalmente sui danni che le
eruzioni hanno sempre apportato ai comuni
viciniori: ricorderemo quelle del 202, del 472, del
512, del 685, 993, 1063, 1139, 1306, 1500 e quella
terribile del 1631 che causò circa 3000 vittime; in
questo secolo ve ne furono ancora altre cinque e la
lava si fermò dopo San Giorgio a Cremano.
Ricordiamo ancora le eruzioni del 1707, del 1737,
del 1760, del 1767, del 1779, e quella del 1794, che
distrusse quasi completamente Torre del Greco. Nel
secolo scorso ve ne furono ben sette che
danneggiarono nuovamente i comuni vesuviani, delle
quali alcune rientravano nel quadro delle
manifestazioni parossistiche. Vi fu poi un'eruzione
nel 1906, quando la lava dopo aver danneggiato
Boscotrecase si fermò al limite del cimitero di
Torre Annunziata; una nel 1927 che raggiunse la
valle dell'Inferno dirigendosi verso Terzigno, una
nel 1929, quando le lave andarono oltre il vallone
grande della valle dell'Inferno ed ancora nel 1930.
Nel 1933 si ebbe un altro terremoto, anche se
abbastanza lieve, i cui epicentri furono Torre
Annunziata e Portici e nel 1944 un'eruzione di
cenere e lapilli, dopo la quale le manifestazioni
vulcaniche sono soltanto fumaroliche, intra ed
extracraterìche; siamo quindi in un periodo di
riposo che ci si augura duri per qualche decennio.
L'escursione al Vesuvio è molto interessante:
dall'Autostrada è facile raggiungere l'Osservatorio
Vesuviano e la stazione inferiore della Seggiovia,
dopo circa 13 Km. di strada asfaltata in salita. Ad
un certo punto la strada si biforca, e mentre la
diramazione di destra conduce alla seggiovia per
raggiungere il cono craterico, l'altra di sinistra
giunge al colle Margherita. Una breve carrozzabile
porta all'Eremo, dove sino agli inizi del secolo
scorso erano alcuni eremiti e si raggiunge poi
l'Osservatorio Vesuviano, una costruzione in linea
neoclassica eretta per desiderio di Ferdinando II da
Gaetano Fazzini nel 1814. Esso è situato su un colle
chiamato dei Canteroni che essendo uno dei luoghi
più elevati verso la parte occidentale del monte
Somma è stato sempre rispettato dalle eruzioni di
lava che si sono susseguite.
Questo Osservatorio ha anch'esso una storia, legata
al grande vulcanologo e fisico Macedonio Melloni,
che è ritenuto il suo vero fondatore essendone stato
il primo direttore. Questo scienziato approfondì gli
studi sull'energia raggiante e riuscì a costruire le
prime pile termoelettriche a differenza delle pile
produttrici di corrente inventate nel 1799 dal
comasco Alessandro Volta; inventò inoltre un
elettroscopio sensibilissimo che gli diede la
possibilità di effettuare approfonditi studi sullo
spettro solare. Rimosso dal suo incarico nel 1848
per le sue idee liberali, si ritirò a Portici dove
morì nel 1854. Gli successero Luigi Palmieri,
Vittorio Raffaele Matteucci e dal 1911 al 1914 il
grande Giuseppe Mercalli, sacerdote rosminiano
allievo dello Stoppani, che è passato alla storia
per quella scala sismica che porta il suo nome, che
è la più usata per la classificazione dei terremoti
e la compilazione delle carte sismiche. Egli la
modificò e la integrò principalmente dopo il
terremoto avvenuto sulla costa calabra ed a Messina
nel 1908. L'Osservatorio dopo ebbe alla sua
direzione un quadrumvirato che fu chiamato Comitato
Vulcanologico dell'Università di Napoli il cui
presidente era il direttore dell'Istituto di Fisica
Terrestre Ciro Chistoni : fu poi nuovamente affidato
a un direttore nelle persone di Alessandro Malladra
e quindi di Giuseppe Imbò. Questo Osservatorio è
molto importante non soltanto per le osservazioni
metereologiche, ma per quelle ricerche scientifiche
che vengono pubblicate negli Annali.
All'interno della costruzione si può vedere
un'interessante raccolta di minerali e di cimeli
nonché strumenti per le ricerche geofisiche. Vi è
inoltre una biblioteca con pubblicazioni
scientifiche molto importanti e plastici di diversi
vulcani. Salendo sulla torretta vi si potranno
vedere gli apparecchi metereologici, e nei locali
sotterranei gli apparecchi di sismologia e
clinografia: l'Osservatorio ha anche un giardino,
dove vi sono alcuni padiglioni.
Retrocedendo a sinistra si va verso la seggiovia
mentre un'altra strada sulla destra si congiunge con
quella del Vesuvio di Boscotrecase: sempre salendo,
mentre si va verso la stazione della Seggiovia, si
ha una idea generale del gran cono del cratere. Una
strada carrozzabile lunga circa 2 Km. porta al colle
Margherita ed al cratere, dove si può ammirare la
valle del Gigante e il punto culminale del Somma:
sempre salendo segue un tratto di strada chiamata
Matrone, costruita tra lo strato di cenere e
lapilli, che giunge nella parte occidentale del
cratere, la cui altezza è di 1180 mt. Volendo
proseguire oltre non si consiglia di andare
isolatamente, ma di farsi guidare da persona
esperta.
La seggiovia del Vesuvio giunge alla quota di mt.
1158 e a chi non soffra di capogiri offre il
panorama ineguagliabile del golfo e delle isole.
Dalla Stazione Superiore della Seggiovia, per una
piccola strada si giunge poi all'orlo craterico del
vulcano, che ha una circonferenza di circa un
chilometro e mezzo. Naturalmente se si desidera
avventurarsi lungo il cratere è opportuno essere
equipaggiati e possibilmente farsi accompagnare da
qualche guida. Il giro si inizia da sinistra e ben
presto si raggiunge la Valle dell'Inferno, una
visione impressionante per il ripido strapiombo
delle pareti del monte Somma. Si arriva quindi al
punto più alto dell'orlo craterico, che è di 1270
mt., la cui base è la parte eruttiva del 1944.
Intorno numerose fumarole emettono vapore con
temperatura a volte superiore ai 500°. Interessante
può essere anche il giro della cresta del monte
Somma, o recarsi alla valle del Gigante o
raggiungere il canale dell'Arena, a quota 1044, che
ci porta poi per una discesa molto ripida verso
Ottaviano e Somma Vesuviana.
Desiderando far ritorno a Napoli, conviene
riprendere invece l'autostrada.
Questo itinerario ci porterà nella penisola
sorrentina, che contìnua l'arco del golfo di Napoli:
noi non ci soffermeremo in tutti i piccoli centri di
questa incantevole costiera, ma cercheremo di
metterne in luce le parti più belle e le cose più
interessanti.
Prendendo l'autostrada Napoli-Salerno, si esce alla
stazione di
Castellammare di Stabia,
nei cui pressi sono le rovine dell'antica città
romana, Stabia, che subì anch'essa le conseguenze
dell'eruzione vesuviana del 79 a differenza di
Pompei si riprese e prosperò a causa delle sue
sorgenti minerali che ancora oggi ne fanno una
stazione termale della massima importanza.
La località era così amena e la sua aria così buona
che nel medioevo i sovrani angioini vi si
costruirono un palazzo che chiamarono Casasana,
appunto per la sua meravigliosa posizione, fra
il mare ed i boschi. Per il suo porto e per il suo
valore strategico la cittadina durante i secoli fu
spesso teatro di lotte; fu saccheggiata e distrutta
durante il conflitto tra francesi e spagnoli e
ricostruita da Carlo V, che la diede in dote a sua
figlia Margherita che sposò Ottavio Farnese. Carlo
di Borbone vi fece intraprendere gli scavi
archeologici, e i suoi eredi la dotarono di un
efficiente porto, la congiunsero alla capitale con
la ferrovia, e vi fecero costruire un cantiere
navale nonché un importante complesso termale che
sfruttava ben 17 sorgenti. Il paese è senza dubbio
dal punto di vista commerciale e industriale il
centro più importante della penisola sorrentina: non
offre invece molte opere di interesse artistico.
Menzioneremo comunque il Palazzo Farnese,
oggi sede del Comune, la cinquecentesca
Cattedrale ed il Museo Stabìano,
contenente interessanti sarcofagi romani e oggetti
di scavo. Lasciandoci Castellammare alle spalle,
imbocchiamo quindi la strada che conduce a Sorrento
lasciando a sinistra l'altopiano di Agerola e di
Gragnano, centri di produzione di un ottimo vino e,
il secondo, di pasta alimentare. Procedendo
incontreremo ben presto sulla destra il Castello
medioevale, la cui costruzione risale al secolo XI
per volere del duca di Sorrento: durante il tempo
esso ha subito trasformazioni, adattamenti e
restauri, ma è ancora molto interessante.
Dopo i bagni dello Scrajo la nostra strada, la
costiera sorrentina, incontra il paese di
Vico Equense,
che prende il nome da un borgo, cioè un vicus
sorto sull'antica Aequana. Può interessare
la piccola Cattedrale, di costruzione trecentesca,
con grazioso campanile a tre piani, che ha
nell'interno la tomba di Gaetano Filangieri, che
visse e morì nel Castello Giusso.
II maniero, la cui mole sovrasta il piccolo
promontorio, caratterizzandone il panorama, si
ritiene costruito da Carlo d'Angiò, ma fu rifatto
agli inizi del secolo XVII dai principi di Conca, fu
ancora restaurato dal conte Girolamo Giusso e infine
fu acquistato dai Gesuiti che ne fecero un loro
noviziato. Attualmente questi religiosi lo hanno
venduto e ci auguriamo che coloro che lo hanno
acquistato ne lascino intatta la parte esterna.
Dopo aver oltrepassata la frazione di Seiano, un
piccolo centro che prende il nome da un senatore
romano che vi aveva un'importante villa, si giunge
a
Meta di Sorrento,
dove all'inizio dell'abitato si vede subito la
graziosa Basilica della Madonna del Lauro, che si
ritiene costruita sulle rovine di un tempio dedicato
a Minerva, essendovi apparsa la Vergine su un lauro.
Proseguendo per la nostra strada raggiungiamo
Piano di Sorrento,
un piccolo centro che fu amato da Augusto, da Marco
Agrippa e ricordato da Plinio, Ovidio ed Orazio.
Interessante è la Chiesa di San Michele, anch'essa
costruita sulle rovine di un tempio pagano, nel cui
interno si può ammirare un dipinto raffigurante la
Vergine e San Francesco di Paola attribuito
ad Andrea da Salerno, un trittico di Marco Pino da
Siena e nel transetto destro una Vergine del
Rosario di Francesco Solimena.
Si giunge poi a
Sant'Agnello,
elegante centro di villeggiatura che ci accoglie con
la statua del santo patrono nella piazza Matteotti;
lasciando a destra la stazione della circumvesuviana
troveremo poi, nell'omonima piazzetta, la barocca
Chiesa di Sant'Agnello che conserva tre tele di
Giuseppe Castellano nel soffitto della navata
centrale. Imboccando sulla destra il corso Crawford
potremmo scendere alla graziosa « marinella »;
prenderemo invece a sinistra via Cocumella, lungo la
quale poco dopo a destra vi è la Villa Siracusa,
appartenuta al principe Leopoldo di Borbone, nel cui
parco è stato costruito un grande albergo. Nella
villa principesca vi è un prezioso pavimento in
ceramica su disegno del Palizzi con le mattonelle
differenti l'una dall'altra. La strada che stiamo
percorrendo cambia il nome in via Rota e continua
verso Sorrento fra ville ed alberghi, parchi e
giardini lussureggianti: i migliori alberghi sono
tutti a picco sul mare ed hanno ciascuno la sua
discesa privata.
Al termine di questa strada ci troveremo nella
piazza di
Sorrento,
al cui centro è la statua di Sant'Antonino,
protettore di questa graziosa ed elegante cittadina.
Sorrento si ritiene abitata sin dall'età neolitica.
La città fu fondata probabilmente dai teleboi quando
conquistarono Capri e subì poi il dominio dei
siracusani, e quello dei Sanniti e dei romani, che
aiutò nella seconda guerra punica. Nel 216 si alleò
con Annibale e durante la guerra sociale fu contro
Roma: presa da Siila non fu saccheggiata né
distrutta, ma dovè accogliere una colonia di reduci
veterani e solo dopo la fine della repubblica
divenne municipio. Nell'età imperiale la cittadina
fu luogo di villeggiatura dei ricchi romani. Nel 420
divenne sede vescovile con un governo di arconti e
di duchi: occupata dai goti, nel 552 passò a
Bisanzio e fu poi assediata dai longobardi. Nel
secolo IX fu ducato libero e, varie volte attaccata
dai saraceni, riuscì a sconfìggerli, si racconta,
per intercessione del patrono Sant'Antonino. Nel
secolo XI divenne parte del principato di Salerno:
assediata dai normanni, una prima volta riuscì ad
evitare la sconfitta con l'aiuto dei pisani ma fu
poi occupata da Ruggiero che la trasformò in un
ducato. Lotte intestine la divisero tra angioini e
durazzeschi, ma nel 1501 la cittadina dimostrò
coraggio nell'opporsi alla dominazione
franco-spagnola; da questo momento la sua storia
segue quella di Napoli. Il suo cittadino più famoso
fu Torquato Tasso che vi nacque nel 1544.
Sono da ricordare la Chiesa di S. Maria del
Carmine, preceduta da un portico, il Palazzo
Correale, del secolo XV, con magnifico portale
durazzesco, il Palazzo Veniero con due piani
di finestre incorniciate da decorazioni a colori. La
Cattedrale, con il suo largo e il campanile di forma
gotica, è stata rifatta in questo secolo da Giovan
Battista Signori; molto bello è il portale marmoreo,
del secolo XV, con uno stemma aragonese e quello di
Sisto IV sull'architrave.
L'interno, a tre navate, conserva un'Annunciazione
del secolo XIV ed un bassorilievo raffigurante S.
Cristoforo del secolo XV, tele di Giacomo Del Po nel
soffitto del transetto ed un trono arcivescovile
cinquecentesco in fondo alla navata mediana: anche
il pulpito marmoreo è della stessa epoca. Da
ammirarsi inoltre nella cappella del transetto
destro una tavola quattrocentesca a fondo oro
raffigurante un Presepe e nell'abside il coro di
finissimo intarsio sorrentino.
Dietro il Duomo, quasi corrispondente ad una porta
della città vi è un Arco Romano con avanzi di
murazioni cinquecentesche. In un piccolo largo fra
le viuzze della città vecchia troviamo il Sedil
Dominova, una loggia quadrata quattrocentesca
sfinestrata ai due lati, con gli stemmi delle
famiglie nobili nell'interno. Interessante è anche
la Basilica di S. Antonino, costruita su un
oratorio, con il sepolcro dei santi del secolo XIV:
il fianco destro offre un portale dell'XI secolo.
Nell'interno a tre navate si conservano dipinti di
Giovan Bernardo Lama e tele di Giacomo Del Po oltre
ad un interessantissimo presepe del Sammartino, del
Gori e del Vassallo. La Chiesa di San Francesco
d'Assisi ha una graziosa porta lignea
quattrocentesca: l'annesso convento, che serba un
pittoresco chiostro ad archi su pilastri ottagonali
trecenteschi, è occupato attualmente da una scuola
d'arte. In piazza della Vittoria vi sono ruderi
romani che si ritengono avanzi di un tempio di
Venere nel quale Virgilio, mentre soggiornava a
Sorrento con Augusto, volle offrire un amorino in
marmo alla dea perché lo aiutasse a terminare
degnamente la sua Eneide; a sinistra vi è la
Chiesa di S. Paolo con l'interno barocco. Nei
pressi può interessare il Palazzo Sersale, ove abitò
la sorella di Torquato Tasso che sposò Marzio
Sersale, con portale in bugnato: vi soggiornò nel
1577 anche il poeta quando fuggì dal castello di
Ferrara. Nella via Correale vi è il Museo Correale
di Terranova che ha sede nel palazzo settecentesco
della famiglia omonima.
Il museo, che consta di ben 23 sale, contiene una
collezione di oggetti di arti minori e una raccolta
di antiche edizioni delle opere di Torquato Tasso.
Lungo la costa di Sorrento vi sono varie torri,
fra cui quella del Gallo costruita per
ordine di Roberto d'Angiò nel 1332, quella di S.
Fortunata, semidiruta, costruita nel 1564;
un'altra a Guardiola al Capo di Scutolo
costruita nel 1567, quella di Sant'Elia di
Ceremegna costruita nel 1569 da Cafaro Pignaloso
da Cava dei Tirreni. Resta inoltre alla Porta del
Piano qualche rudere di un Castello
cinquecentesco di pianta rettangolare con base
scarpata costruito nel 1459 dalla famiglia
Accìapaccia.
Ricostruito nel 1506 ed abbellito nel 1555 e nel
1558, quando i turchi sbarcarono a Sorrento il
castello fu preso e subì gavi danni. Ricostruito, fu
diroccato dai francesi nel 1779 e poi ancora nel
1843 per deliberazione (!) del decurionato della
città. Questa fortezza era originariamente
incorporata nel perimetro difensivo della cinta
muraria della città, che aveva quattro porte, due di
terra e due di mare. La porta Maggiore, quella che
portava a Piano, era accanto al castello e fu
demolita nel 1866; quella di Parsano, che conduceva
a Massa, fu distrutta nel 1865; della porta della
Marina rimane solamente l'androne sotto la chiesa di
S. Antonino e l'altra era chiamata della Marina
Grande perché dava appunto accesso alla Marina
Grande. Nei pressi di questa porta, che ancor oggi
presenta un arco a tutto sesto ottenuto in
apparecchio isomodico, ancora esistono ruderi
dell'antica murazione greca.
All'estremità della Punta del Capo vi sono gli
avanzi della Villa romana di Pollio Felice,
ricordata da Stazio, che il popolo chiamava
volgarmente i bagni della Regina Giovanna: nulla ci
vieta di credere che anche una delle due regine
avesse l'abitudine di appartarsi qui con i suoi
occasionali amici. Continuando per la carrozzabile,
alla marina di Puolo, in località Capo di Massa, si
possono vedere i ruderi di un'altra villa romana.
Si giunge infine al comune di
Massalubrense,
così chiamato, si ritiene, perché ebbe origine da
una mansa longobarda chiamata prima publica e
poi lubrense dal nome della Chiesa di S.
Maria della Lobra, costruita sui ruderi di una villa
romana dove vi era un delubrum dedicato a
Minerva.
Massa è legata alla storia di Sorrento. Nel 1645
divenne principato e feudo di Francesco Toraldo
d'Aragona, noto al tempo della rivoluzione di
Masaniello, nel 1807 fu fortificata con torri contro
gli attacchi degli inglesi che occuparono Capri, e
dalla bella villa Rossi, dove fu poi firmata la
capitolazione, Gioacchino Murat controllava
l'assalto.
Da ricordare la Cattedrale, del 1512, trasformata
nel secolo XVIII, oggi S. Maria delle Grazie;
l'interno ha un magnifico pavimento settecentesco in
maiolica ed una Madonna delle Grazie-ài
Andrea da Salerno. Notevoli sono il Palazzo
Vescovile del secolo XVIII e il Santuario di S.
Maria della Lobra eretto nel 1528 sulle rovine
dell'antica chiesa paleocristiana che sorgeva alla
Marina di Fontanelle, costruita a sua volta sui
ruderi di un tempio pagano. L'interno offre un bel
soffitto ed un pregevole pavimento maiolicato: vi è
annesso un piccolo convento francescano con un
rustico chiostro. Ricordiamo inoltre la Rocca in
località Collina della Terra, edificata dai
durazzeschi nel 1389; in parte distrutta da Ferrante
I d'Aragona fu poi ricostruita. Vi è un'altra torre
in località Crapolla costruita dal viceré duca
d'Alcalà nel 1567 insieme a quella esistente in
località Jeranto e a quella che trovasi allo stato
di rudere a Recomone. Molto più importante quella
alla Punta della Campanella, eretta da Roberto
d'Angiò nel 1334 e rifatta nel 1556 dopo essere
stata devastata dai turchi. Vi sono altre torri
minori in località Fossa di Papa. Punta di Bacoli,
Capo di S. Lorenzo, Capo S. Liberatore, Capo di
Massa e a Guarrazzano, quest'ultima edificata nel
1600 a difesa del collegio dei gesuiti. Anche la
torre di Nerano, costruita da Berardino Turbolo per
la difesa della spiaggia di Cantone dallo sbarco dei
saraceni, è secentesca. Alla punta S. Lorenzo vi
sono altri ruderi di una villa romana e così in
località Marciano; notevoli sono gli avanzi del
Castello eretto dal governatore di Massa Pietro
Acciapaccia nel 1389.
Riteniamo tuttavia che le bellezze naturali, più che
queste piccole graziose chiesette e i diruti
castelli, giustifichino la visita a queste deliziose
località: l'altopiano sorrentino, tutto verde di
aranceti, si affaccia sul suo mare di un azzurro
profondo e misterioso dall'alto di poderose rupi a
strapiombo; la costa è frastagliatissima e varia,
ricca di una vegetazione lussureggiante e olezzante
di un'infinita varietà di fiori che i suoi
giardinieri sanno disporre in artistica policromia.
Si tratta di posti unici al mondo, la cui bellezza è
classe, nobiltà e stile.
Da Sorrento si può raggiungere poi rapidamente
Sant'Agata sui due Golfi,
dalla quale si gode contemporaneamente il panorama
del golfo di Napoli e di quello di Salerno, l'uno a
destra e l'altro a sinistra. Sant'Agata è luogo di
villeggiatura per coloro che amano il fresco della
collina, ma offre anche la possibilità di poter
scendere in poco tempo a Nerano o a Massa per fare i
bagni di mare.
Si ritiene che questa località fosse abitata sin
dall'epoca greca, ma i primi ricordi storici che se
ne hanno risalgono appena al secolo XV. È molto
graziosa la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, del
1622, con un altare maggiore in marmi policromi,
un'opera cinquecentesca fiorentina che era prima
nella chiesa dei Gerolomini a Napoli: vi si possono
ammirare, inoltre una tavola trecentesca
raffigurante San Francesco d'Assisi e una
copia della Madonna della pace di Raffaello.
Dopo il paese la strada continua in salita fino
all'Eremo, sito sul punto più alto della
collina, dal quale si vedono, come abbiamo
accennato, i due golfi. Sull'eremo, chiamato anche
il deserto, la collina raggiunge i 456 metri, mentre
il paese è a 390 metri sul livello del mare. Questo
monastero, costruito da Padre Ludovico da Casoria,
il fondatore dell'Ordine dei Padri Bigi, ospita
attualmente un orfanotrofio.
Per effettuare questo itinerario ci conviene
prendere l'autostrada Napoli-Salerno e, usciti a
Castellammare, proseguire lungo la costiera
sorrentina fino a Meta, dove dalla sinistra, ad un
bivio, parte la strada che conduce a Positano,
prima tappa del nostro itinerario. Se invece, il
visitatore si trovasse a Sorrento potrà prendere la
magnifica strada, chiamata per il suo panorama « del
Nastro Azzurro
» che conduce ai Colli di San Pietro e poi scendendo
e salendo fra curve e rientranti porta alla nostra
meta.
Preferendo viaggiare per mare, nella buona stagione
Positano
si può raggiungere anche con l'aliscafo.
Questo graziosissimo paesetto della provincia di
Salerno compete con Capri per la sua bellezza e la
dolcezza del suo clima. Esso non era che un paese di
pescatori, ma la sua incantevole posizione a
gradinata lungo il ripido pendio della montagna, che
forma una riparata ed accogliente conca, lo ha reso
famoso in tutto il mondo facendone una località
turistica e balneare. Positano ci appare come un
grazioso presepe, con le sue casette linde, il suo
cielo terso ed il suo incredibile mare. Giunti
all'inizio del paese, lasciando la statale si
imboccherà sulla destra la via Pasitea, dalla quale
si dipartono le classiche « scalinatelle » che con
tanti raccordi portano giù alla spiaggia: Positano
infatti non ha che una strada, la via Garibaldi che
conduce nella piazzetta dei Mulini, dove bisogna
lasciare l'auto se si vuole proseguire per la
spiaggia, ma infinite scalette scendono e salgono
disimpegnando il traffico pedonale. Lungo la strada
botteghe e botteghelle espongono i prodotti di un
artigianato locale a buon mercato, che dimostra
però uno spiccato senso artistico: ceramiche,
maioliche, effetti di vestiario e calzature, per Io
più estive. Nella piazzetta Flavio Gioia, che si può
raggiungere soltanto a piedi, vi è la Chiesa di
Santa Maria Assunta, che contiene una
Circoncisione di Fabrizio Santafede ed una
tavola dugentesca raffigurante una Madonna col
Bambino. Scendendo sempre si giunge sulla
spiaggia gaia e variopinta, costellata di ombrelloni
e circondata ad anfiteatro da ristoranti
accorsatissimi. Volendo vedere il panorama dall'alto
si può salire al Belvedere, dal quale si abbraccia
un ampio arco che va da quegli scogli chiamati Li
Galli fino al Capo Sottile.
Dopo Positano incontreremo
Praiano,
un piccolo centro famoso per l'arte della
lavorazione del corallo: nella sua chiesetta
dedicata a San Luca, si possono ammirare
alcune tele del Lama.
Continuando per questa strada che ha il nome di
costiera amalfitana giungeremo poi a
Conca dei Marini,
ricordata per la storia della sua marina mercantile:
vi si costruiscono nasse e ceste di vimini a forma
conica adoperate per la pesca. Sarebbe interessante,
in questo tratto, visitare la grotta di Smeraldo.
La strada, dopo aver attraversato il vallone di
Furore, si biforca: da un lato prosegue verso Amalfi
mentre dall'altro raggiunge il paesino. Qui, nella
Chiesa dedicata a San Michele si può ammirare un
trittico di Angelo Antonello da Capua del 1482 che
rappresenta la Vergine con i Santi Bartolomeo ed
Elia. Tra rocce e vigneti si intravede la
stazione di Vettica Minore e si giunge quindi ad
Amalfi.
La storia di questa città è troppo illustre perché
ci sia bisogno di dilungarci su di essa: Amalfi tu
fondata nel IV secolo d.C. da alcuni romani
naufragati sulle sue coste, ma il rinvenimento di
alcuni frammenti ha fatto ritenere che fosse abitata
invece sin dall'epoca imperiale. L'abilità dei suoi
abitanti nel navigare la pose all'avanguardia fra le
repubbliche marinare italiane nei commerci con i
paesi dell'Oriente; Amalfi si distinse per aver
avuto un suo codice marittimo e per aver battuta
moneta e divenne famosa per i suoi arsenali ove si
costruivano galee anche per altri paesi. Nel'849 i
legni di questa repubblica insieme alle flotte di
Napoli e di Gaeta riuscirono a sconfiggere ad Ostia
i saraceni che si preparavano ad attaccare Roma.
Nell'XI secolo Amalfi aveva raggiunto l'apice della
sua grandezza, riuscendo a penetrare col suo
commercio in tutto il mondo; gli amalfitani
costruirono in quel periodo chiese ed ospizi sino a
Gerusalemme, dove Gerardo Sasso da Scala fondò
quell'Ordine di cui abbiamo già parlato, che divenne
poi l'Ordine dei Cavalieri dì Rodi e quindi di
Malta. La città decadde durante il principato
salernitano di Guaimaro IV che se ne impadronì
approfittando di alcune lotte interne e nel 1073 fu
presa dai normanni. Alla fine del secolo XI riuscì a
riconquistare la sua indipendenza, ma la perse poi
definitivamente con Ruggiero II e nel 1398 divenne
feudo dei Sanseverino, poi dei Colonna, di Raimondo
del Balzo, sinché Ferrante d'Aragona nel 1461 la
diede a sua figlia Maria. Si ritiene che abbia dato
i natali a Flavio Gioia, l'inventore della bussola.
Lo stemma di questa illustre città è stato prescelto
per fregiare il gonfalone della Regione Campania.
Nella cittadina vi sono importanti opere d'arte, fra
cui la magnifica Cattedrale, che si erge alla
sommità di una imponente scalea, fondata
probabilmente nel IX secolo ma ricostruita in stile
arabo-normanno-siculo nel 1203.
La facciata fu rifatta nella forma originaria da
Enrico Alvino, L. Della Corte e Guglielmo Raimondi
ed il mosaico nel timpano che rappresenta Gesù in
trono fu eseguito su disegno di Domenico Morelli,
mentre l’Assunta che è nella lunetta del portale
maggiore è opera del Morelli stesso e di Paolo
Vetri. Una porta in bronzo del secolo XI introduce
nell'interno a croce latina a tre navate; ammirevoli
il soffitto della navata mediana di Francesco Gori e
le colonne monolitiche, i due candelabri che sono
all'ingresso del presbiterio e i due amboni del
secolo XII ai lati dell'altare maggiore.
Interessante è anche la cripta del 1253, restaurata
nel 1719, che conserva statue del Naccherino e di
Pietro Bernini oltre alle reliquie dell'apostolo
Andrea, che operando un miracolo che si ripete sin
dal 1304 trasudano la famosa manna. Alcuni affreschi
di Pietro Cavallini decorano un passaggio che porta
al piccolo chiostro a colonnine binate, del 1266,
dove sono raccolti sarcofagi e materiale di epoca
romana e medioevale.
Interessante è anche il Campanile, iniziato nel 1180
e composto da un piano di bifore e un piano di
trifore. Nel piccolo museo esistente nel Palazzo
Municipale si conserva quel prezioso codice chiamato
« Tabula Amalphitana » che contiene le leggi
marittime e ben 66 capitoli riguardanti l'antica
repubblica la cui formulazione è anteriore all'epoca
normanna.
La torre è stata trasformata nella dipendenza
di un albergo, ambientato in un antico convento
francescano con un grazioso portico del '200 molto
caro a Enrico Ibsen, che nel 1879 vi compose la sua
« Casa di bambole ». Di un altro convento eretto nel
1212 sui ruderi di uno più antico del secolo X,
attualmente adibito anch'esso ad albergo, rimane il
suggestivo portico.
Uno fra i tanti vanti di Amalfi è quello di essere
stata tra le prime città in Europa a fabbricare la
carta a mano: le sue cartiere imposero infatti i
loro prodotti sin dal periodo svevo.
Riprendiamo la costiera, lungo la quale ci accoglie
ben presto un altro grazioso paesino:
Atrani.
Questo piccolo centro è rinomato per l'arte della
ceramica, la cui produzione ha tradizioni
antichissime che risalgono ai tempi della repubblica
marinara.
Nei IX e nel X secolo Atrani subì il dominio di
Salerno, poi passò agli amalfitani che si riunirono
in un quartiere che fu chiamato « tornelle »
appunto per i forni che vi erano stato impiantati
per la fattura della ceramica. Quest'arte, che
ricevette indubbiamente, l'influsso della tecnica
artistica espressiva dell'antica Roma è ancor oggi
viva nelle antiche botteghe dei fornaciari che
perpetuano la tradizione.
Rilevante e la Collegiata di Santa Maria Maddalena,
edificata nel 1274, che conserva nell'interno una
bella tavola di Andrea da Salerno e la Chiesa di San
Salvatore de' Bireto che anticamente veniva chiamata
de Platea, dove venivano eletti e venivano
sepolti i dogi della repubblica amalfitana.
Costruita nel 940 è stata rifatta nel 1810: restano
della costruzione originaria il grazioso campanile a
vela ed il portale, del XII secolo, con una
pregevole porta in bronzo del 1087. L'interno a tre
navate conserva una transenna del XII secolo.
Una diramazione verso l'entroterra porta di qui a
Ravello,
celebre per i suoi vini, la sua storia e i suoi
tesori d'arte e ricordata da eminenti personaggi,
dal Boccaccio a Riccardo Wagner.
Sarebbe stata fondata, come risulta da un antico
documento amalfitano, nel VI secolo, durante la
seconda guerra gotica, o meglio ancora, subito dopo
la fine dell'Impero Romano d'Occidente. Il suo nome
ha un'etimologia alquanto incerta che forse si
richiama a quello della collina occupata dai romani,
che era chiamata Torello. Soggetta ad Amalfi durante
il IX secolo, nell'XI si ribellò alla repubblica
dandosi a Ruggiero il Normanno, ma passò poi nel
ducato di Amalfi.
Fu sede vescovile sin dal 1086 ed ha un'interessante
Cattedrale, la cui facciata è stata rifatta nel
1931, che conserva le antiche porte di bronzo donate
dalla famiglia Muscettola nel 1179 il cui autore si
ritiene possa essere stato quel Barisano che le
eseguì anche per le cattedrali di Trani e di
Monreale: le valve sono suddivise in 54 formelle con
pannelli decorativi molto interessanti.
L'interno è a tre navate, diviso da due colonnati fa
cui copertura era originariamente a tetto nella
parte centrale ed a volte sulle navate laterali:
molto interessanti gli amboni, di cui quello di
destra, voluto da Nicola Rufolo nel 1172, pregevole
opera di influsso romanico-bizantino ed arabo,
sicuro, fu eseguito da Nicola Bartolomeo da Foggia;
l'ambone di sinistra fu fatto costruire dal vescovo
Costantino Rogadeo fra il secolo XI e il XII. Nella
porticina di accesso all'ambone di destra vi è un
busto di donna che secondo alcuni potrebbe essere
quello di Sigilgaita Rufolo, signora di Ravello e
secondo altri Anna della Marra, moglie di Matteo
Rufolo. Noi siamo del parere che possa invece
raffigurare la Chiesa fatta Sposa Regina delle
anime del Sangue di Gesù Cristo.
Notevole anche la cattedra episcopale, opera di
maestro De Nardo del 1279, che ha di fronte due
colonne di granito e sul fiancale un grazioso
pluteo in marmo del XIII secolo. A sinistra
dell'altare maggiore vi è la cappella di San
Pantaleone, del 1617, con affreschi e dipinti del
genovese Gerolamo Imperiali: il sangue del santo
protettore, conservato in un'ampolla, si scioglie
tutti gli anni il giorno della commemorazione della
Santa Croce. Nella sacrestia vi sono notevoli opere
di Andrea da Salerno; il campanile è del secolo XIII
con grandi bifore ai lati.
Molto interessante è la visita alla Villa Rufolo,
che fu conosciuta da Giovanni Boccaccio, che ce la
descrisse nel suo « Decamerone », una portentosa
opera dell'arte italiana in Campania. Una magnifica
torre all'ingresso dà alla villa il carattere di un
palazzo-fortezza, allietato da vasti giardini con
ricca decorazione moresca che rappresentano una
mirabile testimonianza dell'arte medioevale
salernitana.
La villa fu eretta dalla nobile famiglia Rufolo, e
più precisamente dal signore di Ravello Nicola
Rufolo durante il regno di Carlo I d'Angiò. Nel
secolo XV la dimora patrizia passò ai Confalone,
indi ai Muscettola e nel 1700 ai nobili d'Afflitto
di Scala: nella metà del secolo scorso fu
acquistata dal botanico scozzese Francis Nevile
Reid che fece restaurare il complesso dal direttore
degli scavi di Pompei Michele Ruggiero. Nel
settembre del 1943, dopo l'armistizio, dimorò a
Villa Rufolo per un certo periodo Vittorio
Emanuele III di Savoia.
Il magnifico giardino il 26 maggio del 1880 incantò
Riccardo Wagner al punto che il grande musicista
volle immortalarlo ispirandosi ad esso per la
rappresentazione scenica del giardino di Klingsor,
dandone incarico al russo Joukounowky che doveva
presentare gli schizzi degli scenari per il suo «
Parsifal ».
Non meno importante è la Villa Cimbrone, che
comprende un edificio con due torri ed un cortile;
molto interessante è il Belvedere.
Originariamente proprietà di Pompeio Fusco, consorte
della fiorentina Lucrezia Pitti, appartenne poi a
Lord Grimthorpe.
Ricordiamo inoltre a Ravello la Chiesa di Santa
Maria a Gradillo, del secolo XII, nella quale
prendeva possesso del ducato il Capitano Generale.
Ritornati sulla costiera amalfitana, si tocca
Minori,
che fu l'arsenale della Repubblica di Amalfi.
Sarebbe interessante la visita alla Basilica di S.
Trofimena, che risale all'XI secolo, con cripta
sotto il presbiterio, e dare uno sguardo alla Villa
romana, scoperta nel 1932. Del I secolo d.C, essa
doveva avere l'ingresso principale dalla parte del
mare, ma oggi vi si accede dalla strada.
Si raggiunge poi
Maiori,
che è stata molto danneggiata nell'alluvione del
1954 e poi ricostruita più moderna: volendoci
fermare si potrebbe visitare la Chiesa di Santa
Maria a mare, del secolo XIV, che ha nell'interno
una statua trecentesca policroma raffigurante la
Vergine ed un'altra Vergine col Bambino
di Diego De Siloe. Dopo la frazione di Erchie la
costiera si apre in un magnifico arco: si
potrebbero visitare qui le Catacombe di Badia,
ruderi di un'antica abbazia benedettina del secolo
XI.
Si passa quindi per
Cetara
ed infine si giunge a
Vietri sul Mare,
dove termina la costiera amalfitana.
In questa cittadina si può visitare la Parrocchiale,
del 1732, dedicata a San Giovanni Battista, con
cupola maiolicata, un ardito campanile e
nell'interno un pregevole polittico cinquecentesco.
Vietri è divenuta famosa per l'arte della ceramica,
di cui esistono diverse fabbriche che lavorano con
un notevole estro creativo. Le ceramiche di Vietri
in meno di trent'anni hanno invaso tutti i mercati
europei, forse per il segreto dello smalto; per
l'istruzione delle maestranze la cittadinanza ha
anche una scuola d'Arte.
Vietri sul mare è ad un passo da Salerno, ma noi
tireremo diritto, senza fermarci nel capoluogo.
Riteniamo però che non sia possibile andarsene da
Napoli senza aver visto i templi di
Paestum,
e quindi ci sembra necessario in questo caso, come
per Positano e per la costiera amalfitana,
spingerci nella provincia di Salerno.
Paestum è probabilmente il centro archeologico più
importante dell'Italia Meridionale, con i suoi
templi dorici che sono secondi solo al Theseion
di Atene: fondata con ogni probabilità dai greci
di Sibari intorno al VII secolo a.C. e da loro
chiamata Poseidonia o città di Nettuno,
divenne ben presto un'importante centro agricolo e
marinaro.
Dopo la distruzione di Sibari, che si ebbe nel 510
a.C, Paestum riuscì a mantenere le sue posizioni
rispetto egli Etruschi e anche dopo la battaglia di
Cuma, avvenuta nel 474, conservò la sua
indipendenza, ma nel 400 fu presa dai lucani e il
suo nome fu italianizzato in Paistos o anche
Paistom. La vittoria del re dell'Epiro Alessandro
contro i lucani nel 332 la restituì ai greci, ma
dopo l'uccisione di Alessandro ritornò alle
dipendenze dei lucani fino a quando nel 273 Roma vi
impiantò una colonia: i romani, essendo stati
aiutati dalla flotta di Paestum e da quella di Velia
quando Annibale assediò Taranto, grati alla città
provvidero a ingrandirla ed arricchirla. Agli albori
del Cristianesimo Paestum ebbe i suoi martiri e nel
370 vi sostarono le spoglie dell'apostolo San
Matteo. Fu sede vescovile sin dal V secolo e rimase
sempre cristiana: nel medioevo i cristiani
tramutarono in chiesa il Tempio di Cerere.
Col passare dei secoli i monumentali templi
dell'antica città furono completamente obliati e
solo dopo la venuta di Carlo III di Borbone,
ricordando l'importanza archeologica e storica di
Paestum, vi si effettuarono scavi e studi e vennero
dati alle costruzioni i nomi che hanno tuttora.
Non è possibile a causa dei nostri limiti di spazio
poter illustrare degnamente questi templi e tutto
quanto esiste nel recinto degli scavi, ma cercheremo
di riepilogare rapidamente le notizie più
importanti.
Il più grande dei templi è quello che fu chiamato di
Nettuno, costruito nel 450 a.C, che costituisce il
più perfetto esempio di architettura dorica
templare.
Costruito su un stilobate di tre gradini, era
dedicato invece alla dea della maternità e della
fecondità Hera Argiva; ha un porticato su colonne
sui cui capitelli grava l'architrave. Il tetto a
doppio spiovente presenta dei magnifici frontoni
triangolari che il tempo ha risparmiato: davanti vi
sono i resti di due altari che dovevano servire per
i sacrifici.
Vi è poi il Tempio Italico, che dovè essere
costruito intorno all'80 a.C, dedicato a Giove,
Giunone e Minerva.
Esso fu eretto su un podio sopraelevato con una
larga gradinata prospiciente, anch'essa con un
altare davanti; vi erano in origine sei colonne
sulla fronte e otto nei lati lunghi.
Sul lato orientale di questo tempio vi sono i ruderi
del Teatro Greco, alle destra di questo l'Aerarium e
dietro ancora l'Anfiteatro romano, in un quartierino
di case romane recentemente emerso. In un recinto
vi è poi il Sacello sotterraneo che rappresenta un
importante esempio di architettura arcaica. Lungo la
via chiamata Sacra vi è un terzo tempio, quello
detto di Cerere, che era dedicato invece ad Athena,
costruito nel VI secolo a.C. con un portico di 34
colonne scanalate, le cui forme ricordano la
Basilica, che è allineata con il tempio di Nettuno.
Anche questo edificio è un tempio e deve
considerarsi il più antico, in quanto dovè essere
costruito nella metà del VI secolo a.C. Dedicato
alla dea Hera, è cinto da un portico con ben 50
colonne doriche originarie e ha davanti un grande
altare che serviva per i sacrifici con il pozzo
sacrificale.
Uscendo dal recinto degli scavi si può visitare
l'importante Museo, che raccoglie quanto è stato
rinvenuto nell'antica città e nelle necropoli dei
dintorni.
Dopo un atrio che conserva importantissimi capitelli
dorici, vi sono due sale dove sono raccolte varie
metopi: in quella centrale vi è in alto un
importantissimo fregio proveniente da un tempio
della prima metà del VI secolo a.C, che rappresenta
un complesso da ritenersi fra i più importanti
esistenti anche in Grecia, composto dì ben 33
metopi. Nei lati di questa sala si susseguono metopi
di estrema importanza, le cui raffigurazioni hanno
dell'incredibile, in quanto in esse ci viene
rappresentata tutta la storia ellenica e mitologica.
La terza sala centrale conserva opere d'arte
ancaiche trovate nell'interno della città, quasi
tutte di significato religioso: molto interessante è
la vetrina a muro della galleria inferiore che
conserva oggetti preziosi trovati nel santuario del
Sele. La galleria superiore, dedicata a Poseidone,
alla lucana Paistom e a Paestum, in ben 50 vetrine
offre la visione di oggetti paleolitici, neolitici e
dell'età dei metalli, oltre a pitture che ornavano
pareti emerse negli scavi effettuati.
Molto interessante è inoltre il Giro delle Mura, che
cingono la città per circa 5 chilometri. Costruite
dai greci e fortificate dai lucani e dai romani,
costituiscono una murazione più unica che rara,
composta da poderosi blocchi parallelepipedi di
calcare e intervallata da torri quadrate e
cilindriche che la rafforzano. Molto interessanti la
Porta Aurea, dove aveva inizio la Via dei
Sepolcri, la Porta Sirena, la Porta
della Giustizia e la Porta Marina ed
inoltrandoci di qualche chilometro la Torre
chiamata appunto di Paestum, dopo la quale si
può visitare la necropoli preistorica di Gaudo.
I resti del santuario di Hera Argiva sono emersi
dagli scavi effettuati qualche anno prima della
seconda guerra mondiale: la costruzione dovrebbe
aggirarsi intorno al VII secolo a.C. Danneggiato
da terremoti e dalla eruzione vesuviana del 79, il
tempio fu ancora distrutto nel periodo medioevale.
Si ritiene che il rinvenimento di quest'opera
costituisca un'impresa archeologica fra le più
importanti effettuate in questo secolo. |