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IL PIO MONTE DELLA MISERICORDIA

Il Pio Monte della Misericordia sorge nel 1602, ad opera di sette nobili napoletani che vollero costituire un'istituzione laica che esercitasse le opere di misericordia corporale. La prima sede, opera di Giovan Giacomo di Conforto, divenne ben presto disagevole per il rapido sviluppo del Monte, e fu sostituita da quella attuale, situata sulla chiassosa e frequentatissima via dei Tribunali. L'architetto Francesco Antonio Picchiatti, incaricato del progetto nel 1658, dovette affrontare notevoli problemi di esiguità spaziale che risolse dividendo in tre ordini il disegno della facciata, con un ampio porticato proiettato sulla strada, espressione dell'accoglienza adottata dalla pia istituzione e ricordata dall'iscrizione del fregio superiore "Fluent ad eum omnes gentes". Forse furono gli stessi committenti ad esigere un edificio dove prevalessero elementi di architettura civile, piuttosto che religiosa, a conferma della laicità dell'opera, perciò la chiesa non è visibile dall'esterno. La sobrietà e la compostezza della facciata esterna sono replicate dal Picchiatti anche nel disegno della chiesa, realizzata a pianta ottagonale con una cupola a spicchi a sesto acuto e due ordini di finestre che diffondono una luce rarefatta. Alcuni elementi di gusto barocco, come le mensolette su cui poggiano le lesene dei pilastri, le singolari acquasantiere, o il pavimento in cotto incorniciato da marmi policromi, si inseriscono con estro in questo contesto classicizzante.

LA QUADRERIA DEL PIO MONTE DELLA MISERICORDIA

Nei suoi quattrocento anni di storia, il sodalizio ha agito come un «centro propulsore di cultura» ed ha raccolto una ragguardevole collezione di dipinti, argenti e pianete, mobili ed elementi d'arredo pregiati e libri antichi. Il piano nobile della sede del Pio Monte ospita la Quadreria, allestita secondo il criterio di una casa-museo, in cui sono esposti la collezione di dipinti (ca. 150) e altri beni artistici della congregazione. L'ingente patrimonio pittorico è costituito essenzialmente da tre nuclei principali di opere: i 41 dipinti di Francesco De Mura, da egli stesso lasciati in eredità al Monte nel 1783, un più cospicuo gruppo di tele donate da Maria Sofia Capece Galeota nel 1938 e i dipinti di artisti vari commissionati direttamente per la Chiesa di Nostra Signora della Misericordia o diversamente pervenuti al Pio Monte nel corso dei secoli.

LA FONDAZIONE DEL MONTE

Al principio del Seicento (1601), sette rampolli di nobili famiglie cittadine decisero di aggregarsi per la "raccolta" di beni a scopo caritativo. Inizialmente, la loro attenzione fu rivolta al solo Ospedale degli Incurabili, dove - prima con frequenza mensile e poi il venerdì di ogni settimana - si recavano in coppia a visitare gli infermi. Essi stabilirono inoltre che ogni membro del Monte oltre ad autotassarsi dovesse anche occuparsi di seppellire i poveri morti nelle cave dell'Ospedale e raccogliere tra i cittadini più abbienti le elemosine da devolvere all'Ospedale. Ben presto il numero degli associati aumentò (ma senza superare gli 80 iscritti), e il 19 aprile 1602 venne stilata la Capitolazione, l'atto di fondazione del Sacro Monte della Misericordia (poi Pio Monte) formalmente riconosciuto dal re di Spagna nel 1603. Da quel momento in poi i confratelli, ispirandosi ai dettami evangelici (Matteo, XXV, 25, 34), cominciarono a dedicarsi a tutte le Opere di Misericordia Corporale, dando origine ad un’ampia, articolata e complessa attività caritativa e assistenziale basata su interventi di sussidio regolari e straordinari a favore della popolazione napoletana di "poveri onesti" e di "poveri vergognosi". L'accumulo di fondi, attraverso elemosine, lasciti, donazioni, ecc. creò la necessità di organizzarsi con una struttura e regole più specifiche, e fu così che nacque il "Sacro Monte", inserendosi tra le molte istituzioni simili operanti nel tessuto urbano napoletano. Seguendo orientamenti diffusi dell'epoca, per entrare nel sodalizio bisognava essere, non solo uomini "di buona vita" (come nel caso, per esempio, del Pio Monte dei Musici), ma "gentiluomini ragguardevoli", "convenienti al decoro del Monte", e vi si accedeva solo dietro opportuno consenso della maggioranza dei confratelli e dopo aver frequentato per almeno sei mesi l'opera del venerdì presso l'Ospedale degli Incurabili. Singolare per quei tempi fu poi l'ammissione delle donne "ma solo come benefattrici" sancita nel 1611 dai sette Governatori del Monte. La crescita dell'ente e l'aumento del patrimonio gestito richiesero la creazione di una sede "degna di prestigio": un palazzo con annessa una Chiesa, per la quale furono commissionate opere di grande valore artistico, situati nel cuore della città storica quali segni essenziali del rilievo politico-culturale e della "visibilità" sociale del sodalizio.

 

 
     
 
     
 
     
 
     
 
     
 
     
 
     

LA CHIESA

Andrea Malinconico

Madonna della Purità, 1670 ca.

Olio su tela – 185 x 140

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Luca Giordano

Cristo e l’adultera, 1660 ca.

Olio su tela – 180 x 235

Collocato sulla controfacciata della chiesa il dipinto è una copia fedele di un dipinto di Luca Giordano conservato in una collezione napoletana. La donna condannata per adulterio viene scagionata da Cristo con semplici parole: “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. La composizione presenta le figure a mezzo busto tipico delle rappresentazioni del Mattia Preti ed un colorismo cupo influenzato dai neoveneti di ascendenza dal veronese.

 

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Luca Giordano nacque a Napoli nel 1634. Studiò a Napoli nella cerchia di Jusepe de Ribera. Nel 1652 si recò a Roma, dove venne in contatto con l’ambiente di Pietro da Cortona. Lavorò ancora a Napoli e poi a Montecassino, dove lasciò numerosi affreschi tra i quali: gli affreschi per la cupola di Santa Brigida, la decorazione per la chiesa e il monastero di San Gregorio Armeno.


Nel 1667 si recò a Venezia dove rimase fortemente suggestionato dalla pittura di Tiziano e dal colorismo di Veronese.
Dopo un soggiorno a Firenze tra il 1682 e il 1686, dove eseguì gli affreschi in palazzo Medici Riccardi, nel 1692 venne invitato da Carlo II in Spagna dove realizzò i cicli di affreschi all’Escorial, al Cason di Buen Retiro, nella sagrestia della cattedrale di Toledo e nel monastero di Nostra Signora di Guadalupe.
Nel 1704 tornò a Napoli dove lasciò ancora testimonianze della sua fervida fantasia: le tele per la chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella e gli affreschi della certosa di S. Martino.


Luca Giordano morì a Napoli nel 1705

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Fabrizio Santafede
(Napoli 1560 ca. – 1628)
San Pietro che resuscita Tabitha,
datata 1611

Olio su tela – 206 x 205

Committenza:
Pio Monte della Misericordia

L’episodio dell’Apostolo che resuscita la caritatevole donna allude alle opere di dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati e vestire gli ignudi, che coincidono con l’attività istituzionale di Sovvenire i poveri vergognosi. Maggiore esponente dell’arte tardo manieristica a Napoli, il pittore fa propria la tradizione disegnativa fiorentina imbevendola nel colorismo veneto. L’inusuale affollamento della scena, alcuni tagli di luce fortemente accentuati, ma soprattutto la citazione del nudo di spalle, fanno pensare, in questa tela, ad una meditazione caravaggesca, raggiungendo, però, come consono al suo stile, toni comunicativi mai scomposti.

Cristo ospitato in casa di Marta e Maria, 1612

Olio su tela – 310 x 210

Committenza:
Pio Monte della Misericordia 

Rappresenta l’opera d’Ospitare i Pellegrini, traendo spunto dall’episodio evangelico dell’invito fatto a Gesù da parte di Marta e Maria. Marta rimprovera la sorella Maria di non occuparsi delle faccende domestiche; Gesù interviene difendendo Maria che “ha scelto la parte migliore” fermandosi ad ascoltare ai suoi piedi la parola di Dio. La scena sembra concentrarsi sulle tre figure protagoniste ma brani di ritrattistica dal vero si aprezzano nelle figure in basso e nelle ‘comparse’ che commentano la scena sul fondo; parte di un’edificio e un arco completano la scena. Santafede esprime chiaramente quali sono le sue tendenze pittoriche: tono narrativo pacato, comunicativo, mai eccessivamente passionale; anche la luce, chiara e diffusa a differenza del Caravaggio, si distibruisce armonicamente in tutto il dipinto; i colori accesi, brani squillanti di arancio, verde intenso e blu delle vesti, si accordano con il bianco cangiante armonizzandosi.

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Nato a Napoli nel 1560 circa secondo il De Dominici, è in realtà citato per la prima volta nell'atto di matrimonio del 1576 e ritenuto già all'epoca "famoso pittore". Si forma sotto il forte influsso del senese Marco Pino, operante a Napoli nell'ultima fase della sua attività. L'impronta del manierismo toscano, presente soprattutto nelle opere dell'ottavo e del nono decennio, cede il passo nella produzione più tarda non solo allo studio dello stile di Caravaggio, ma anche, e soprattutto, a quello composto e aggraziato dei pittori riformati toscani, come Santi di Tito e in particolare il Passignano, sensibile agli echi della pittura veneziana.

All'artista, lodato dalle fonti storiche, vengono assegnate importanti commissioni, come le due tele della cappella del Monte di Pietà (1603 e 1608), l’Incoronazione della Vergine (1601-02, chiesa di Santa Maria la Nova) e la Madonna e santi (1606, Monte Oliveto). Di rilievo è inoltre l'attività di ritrattista svolta per la committenza privata. Nella quadreria dei padri Girolamini sono i Figli di Zebedeo davanti a Cristo (1625 circa) e la Lavanda del Bambino, ricordata da De Dominici (1742) nella biografia del pittore. Dalla ben organizzata bottega, le sue opere trovano diffusione in tutta l'area del meridione, ma anche nel nord Italia e in Spagna. L'ultimo documento certo concernente Santafede è del 1624.

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Giacomo de Castro
(Sorrento - attivo a Napoli fino al 1687)
Sant’Anna e la Vergine, 1665 ca.

Olio su tela – 185 x 140

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Giovan Battista Caracciolo detto “Battistello”
(Napoli 1578-1635)
Liberazione di San Pietro, 1615

Olio su tela - 310 x 207

Committenza:
Pio Monte della Misericordia

I Governatori scelsero per l’esecuzione di questa tela Carlo Sellitto, tra primi caravaggeschi a Napoli; ma alla sua morte nel 1614, la commissione passò a Battistello che fu pagato 100 ducati. Il soggetto mostra l’opera di Liberare i carcerati. Dall’ambientazione notturna emergono le figure: l’angelo accompagna per mano fuori dal carcere l’apostolo incredulo mentre i soldati in basso restano assopiti. Sullo sfondo si scorgono appena le ali dell’angelo, una finestra e una porta a sinistra. Il gioco di luci ed ombre di Caravaggio si accompagna ad una definizione disegnativa e coloristica, accresciuta dai viaggi del pittore a Roma; non mancano citazioni cinquecentesche, come le sentinelle riprese da Raffaello o forti richiami del colorito di Orazio Gentileschi, visibile nei bagliori argentei della veste dell’angelo. Tra le più raffinate opere dalla sua produzione, molti pittori attivi a Napoli nella prima metà del secolo ne riecheggeranno la composizione.

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Giovan Battista Caracciolo, detto il Battistello, diffuse a Napoli la pittura caravaggesca. Nel 1607 al suo arrivo nella città partenopea era già un pittore di successo. Si dedicò all'affresco cercando di rendere con questa tecnica i contrasti fra luce ed ombra. Dopo un viaggio a Roma rese più incisivo il suo disegno a discapito della luce come nel ciclo degli affreschi della Certosa di San Martino a Napoli (1622). Negli ultimi anni della sua vita si discostò dal caravaggismo per avvicinarsi alle idealizzazioni del classicismo bolognese.

I tre personaggi sono ritratti su di un fondo scuro dal quale emergono imponenti, essendo la loro presentazione effettuata su di un piano molto ravvicinato che conferisce tra l'altro un'estrema intensità.

La figura della Madonna, seduta, occupa gran parte del dipinto, quasi segnandone la diagonale sinistra alla quale fanno contrapposto, creando piani sbilanciati, la posizione del piccolo Gesù, in piedi e con le gambe incrociate, e il busto di S. Giuseppe che emerge da sinistra. Il gioco compositivo è sottolineato dal senso della luce che chiude una struttura a "croce di Sant'Andrea".


La tela è stata segnalata e attribuita da Maurizio Marini (1981-1982) che ne propone precisi raffronti con un gruppo di opere dipinte da Battistello in anni compresi tra il 1615 e il 1630.


Significativo appare il confronto con il Cristo confortato dall'Angelo del Kusthistorisches Museum di Vienna e il Riposo Pitti della Galleria Palatina a Firenze. Il primo per il particolare taglio compositivo ravvicinato, l'altro per più diretti confronti di iconografia, essendo pure l'opera cosentina, tutto sommato, un Riposo nella Fuga in Egitto.


Con questo, poi, si potrebbero leggere similitudini fra i volti della Vergine, che ricordano quello della Madonna d'Ognissanti a Stilo - dove potrebbe trovarsi anche qualche altro confronto per S. Giuseppe - e ancora Lot e le figlie a Milano.


Quel che si vuole evidenziare in questi accostamenti è la partecipazione del nostro dipinto a quegli elementi che caratterizzano le opere del Caracciolo dopo il soggiorno toscano del 1618, con particolari punte di ritorno cinquecentesco e raffaellesco
1. Si potrebbe, poi, leggere nella posizione della Madonna cosentina un ricordo di quella della Madonna della Seggiola di Raffaello.

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Giovan Bernardo Azzolino
(Cefalù ? 1572 – Napoli 1645)
San Paolino che libera lo schiavo, 1626-1630

Olio su tela – 306 x 210

Committenza:
Pio Monte della Misericordia

Il dipinto descrive l’attività istituzionale di Riscattare gli schiavi attraverso la leggenda di San Paolino,Vescovo di Nola, che offre se stesso al re dei vandali per il riscatto del figlio di una vedova. Le due figure centrali occupano quasi l’intera scena, mentre ai piedi del santo è prostrato lo schiavo appena liberato dalle catene; sullo sfondo le donne esultano alzando le braccia al cielo e una architettura classica incornicia una Gloria. Lo stile tardo – manieristico di questo pittore, autore di molte tele d’altare per le più importanti chiese napoletane, appartiene ai modi cinquecenteschi nella composizione sebbene non manchino dei brani naturalistici, come la definizione luministica sulla schiena dello schiavo e le ombre riportate sui due bambini ai lati della scena.

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Di Giovan Bernardo Azzolino, nato a Cefalù intorno al 1572 e morto a Napoli nel 1645, abbiamo poi, nella nostra zona, un discreto numero di lavori. Lo troviamo, infatti, a Paola, nella Chiesa dei Cappuccini, con un polittico che raffigura “L’Immacolata e i Santi Giovanni Battista, Francesco d’Assisi e di Paola e Santi francescani”; a Cetraro, ancora in una Chiesa dei Cappuccini, con un polittico della “Madonna degli Angeli fra i Santi Francesco d’Assisi, Sebastiano, Antonio e Benedetto”; a Scalea, nella Chiesa di S.Nicola in Plateis, con una tela della “Madonna del Carmine tra i Santi Nicola di Bari e Carlo Borromeo”.
L’Azzolino, che fu peraltro suocero di Jusepe de Ribera senz’affatto risentirne l’esuberante personalità stilistica, mantenne sempre la sua arte “in un suo limbo severo che a volte non supera i limiti di un convenzionale pietismo” ma che talora si riscatta in “ricerche di sofisticata eleganza” (Di Dario Guida).

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Giovan Vincenzo Forli
(documentato a Napoli dal 1592 al 1639)
Il Buon Samaritano, 1608

Olio su tela – 306 x 205

Committenza:
Pio Monte della Misericordia

Raffigura la parabola del Buon Samaritano: un viandante dopo una violenta aggressione resta ferito e ignorato da due passanti; un terzo, invece si prende cura di lui e lo ricovera presso un albergo. Il soggetto, quindi, rinvia all’Opera del Visitare gli infermi, primo e fondamentale impegno dei fondatori del Pio Monte della Misericordia, i quali, probabilmente, scelsero non a caso questo tema da rappresentare subito dopo la prima tela di Caravaggio.

Durante la sua vasta attività di pittore, Forlì riuscì a conciliare diverse maniere: dagli esordi, legati a Barocci e alla pittura toscana, entrò in contatto con alcuni pittori fiamminghi napoletani e con la pittura di Belisario Corenzio; tendenze tutte visibili nella tela del Pio Monte dove il tema veneto del paesaggio, ambientata al crepuscolo, accoglie le figure e le scene narrative sullo sfondo. Appare qui, però, un elemento nuovo: il gruppo della Madonna col Bambino sorretto dagli angeli, un chiaro omaggio al Caravaggio; Forlì, non poteva ignorare le novità esposte chiaramente sull’altare maggiore a pochi centimetri dal suo Buon Samaritano.

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Giovan Vincenzo D’Onofrio da Forlì, noto come Giovan Vincenzo Forli, nasce a Campobasso nella metà del cinquecento. E’ molto attivo a Napoli tra la fine del cinquecento e gli inizi del seicento. Nel 1592 è a Napoli. Nel 1594 è console dell’arte dei pittori insieme ad altri artisti, (tra cui Teodoro d’Errico). Gli vengono affidati lavori per la chiesa e il brefotrofio dell’Annunziata. Oltre che nella chiesa del Pio Monte della Misericordia, sue opere oggi sono visibili nella chiesa di Santa Maria del Carmine (una “Madonna delle Grazie”), nella chiesa dello Spirito Santo (una “Annunciazione” del 1602), nella chiesa di San Giovanni a Carbonara (Sant’Orsola e le compagne), nella chiesa di Santa Maria della Sanità (“Circoncisione” del 1610). Il Previtali in “La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame” gli attribuisce una “Madonna con Bambino che appare ai Santi Francesco, Agostino, Biagio e Antonio da Padova” nella chiesa del Gesù delle Monache. Lo stesso Previtali dice del Forli che egli “al pari di altri artisti italiani e spagnoli prima di adeguarsi alle nuove rivoluzionarie tendenze naturalistiche”, avrebbe partecipato “al gran corale baroccesco di fine secolo”. La corrente baroccesca, che prende nome da Federico Fiori detto il Barocci si sviluppa in sintonia con un modo di dipingere pastoso. Il pittore molisano è insomma legato al tardo-manierismo, come Santafede, caposcuola della cultura riformata a Napoli, e Azzolino. Tra le opere più importanti “Il buon samaritano, in cui usa un’iconografia tradizionale impregnata di ricordi veneti e fiamminghi.

Nicola Fenico nasce a Campobasso nel seicento. Al suo nome sono legate soprattutto due opere nella chiesa del convento di Santa Maria della Libera a Cercemaggiore (Campobasso): un enorme affresco del 1686 con l’Ultima Cena dai colori vivaci e dal particolare movimento impresso ai personaggi e una tela con “Madonna fra santi” del 1687. Della sua vita si hanno pochissime notizie.

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Luca Giordano
(Napoli 1634-1705)
Deposizione, 1669 - 1771

Olio su tela – 310 x 210

Committenza:
Pio Monte della Misericordia

L’opera rappresenta il Seppellimento dei Morti e fu pagata 200 ducati. E’ firmata e datata sul gradino in basso Jordanus F. 1671. Il dipinto sostituì la tela con lo stesso soggetto di Baglione, oggi in Quadreria, di dimensioni più piccole rispetto alle altre tele. Echi naturalistici, provenienti dalla sua formazione con Ribera, si accordano con le lezioni del barocco romano: Rubens, Pietro da Cortona, Van Dyck e la pittura veneta arricchiscono il ricco patrimonio del pittore. La gamma cromatica dorata, sciolta nei contorni, e i rischiarati effetti sfumati fanno del dipinto un capolavoro della produzione centrale del prolifico pittore chiamato per questo Luca fa presto.

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Luca Giordano nacque a Napoli nel 1634. Studiò a Napoli nella cerchia di Jusepe de Ribera. Nel 1652 si recò a Roma, dove venne in contatto con l’ambiente di Pietro da Cortona. Lavorò ancora a Napoli e poi a Montecassino, dove lasciò numerosi affreschi tra i quali: gli affreschi per la cupola di Santa Brigida, la decorazione per la chiesa e il monastero di San Gregorio Armeno.


Nel 1667 si recò a Venezia dove rimase fortemente suggestionato dalla pittura di Tiziano e dal colorismo di Veronese.
Dopo un soggiorno a Firenze tra il 1682 e il 1686, dove eseguì gli affreschi in palazzo Medici Riccardi, nel 1692 venne invitato da Carlo II in Spagna dove realizzò i cicli di affreschi all’Escorial, al Cason di Buen Retiro, nella sagrestia della cattedrale di Toledo e nel monastero di Nostra Signora di Guadalupe.
Nel 1704 tornò a Napoli dove lasciò ancora testimonianze della sua fervida fantasia: le tele per la chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella e gli affreschi della certosa di S. Martino.


Luca Giordano morì a Napoli nel 1705

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Michelangelo Merisi da Caravaggio
(Caravaggio 1571 - Porto Ercole 1610)
Opere di Misericordia, 1607

Olio su tela – 390 x 260

Committenza:
Pio Monte della Misericordia

Prima commissione per la decorazione della Chiesa del Monte, pagata 400 ducati. Tappa fondamentale del primo soggiorno del pittore a Napoli, il dipinto è tra le sue composizioni più ardite; in alto è raffigurata la Madonna di Misericordia col Bambino sorretta dagli angeli, mentre in basso, l’incastro di figure, con la loro complessa gestualità, allude simbolicamente alle Opere di Misericordia. Numerose sono le descrizioni che cercano di spiegare ed interpretare l’iconografia del dipinto, che sembra svolgersi proprio in un buio crocevia napoletano; nella scena si riconoscono: a destra Cimone in carcere allattato dalla figlia Pero (dar da mangiare agli affamati e visitare i carcerati); dietro di loro avanzano un becchino che trasporta un cadavere, del quale si vedono solo i piedi, seguito da un sacerdote con una torcia (seppellire i morti); a sinistra in primo piano, un cavaliere con la piuma, che ricorda S. Martino, divide il mantello con il povero raffigurato di spalle che ha accanto un infermo dalle mani giunte (vestire gli ignudi e visitare gli infermi); accanto, un uomo dal volto emaciato con una conchiglia sul cappello, forse S. Giacomo da Campostela, sembra essere accolto dall’uomo di fronte (ospitare i pellegrini); tra questi ultimi due, sul fondo, c’è Sansone che beve dalla mascella d’asino (dar da bere agli assetati). L’opera, che fonde citazioni antiche e bibliche, miseria e nobiltà (Longhi, 1951), esprime tramite contrasti di luce e ombra una visione diretta della realtà diventando punto di riferimento per i pittori locali, legati ad una pittura devota e tardo-manieristica, aprendo così la nuova stagione seicentesca del naturalismo a Napoli.

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Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1573 - 1610)


Allievo a Milano di Simone Petranzano, risente in parte dell'influenza di pittori veneti come Lotto, Savoldo, Campi, che avevano mitigato il luminismo veneto con le forme ancora vive dell'arte lombarda. Recatosi a Roma, conosce momenti di miseria, lavorando con il Cavalier d'Arpino e con Prosperino delle Grottesche.

Grazie alla protezione del cardinale dal Monte gli vengono commissionati dipinti sulla vita di San Matteo per la chiesa di San Luigi dei Francesi, la chiamata di S. Matteo, il Martirio di S. Matteo, S. Matteo e l'angelo (in due edizioni, dopo che la prima gli viene respinta dai committenti per eccessivo realismo e che fu conservata a Berlino fino alla distruzione durante la guerra del 1939-45). Il suo carattere ribelle gli procura noie con la polizia romana e dopo aver ucciso un giovane in una disputa è costretto a fuggire a Napoli.


A Roma lascia altre sue opere di grande valore, il Riposo dalla fuga in Egitto, il Canestro dell'Ambrosiana, la Maddalena, la Buona ventura, il ritratto di Maffeo Barberini, la Cena in Emmaus di Brera, le Madonne dei Pellegrini e dei Palafrenieri, il Davide della Borghese, le splendide tele della Conversione di San Paolo e del Martirio di San Pietro della chiesa romana di S. Maria del Popolo, la superba Deposizione della Vaticana, la Morte della Vergine, rifiutata dai committenti, ora apprezzata al Louvre. Il soggiorno a Napoli è breve, ma vi esegue i Sette atti di Misericordia per l'omonimo Pio Monte, la Flagellazione di Cristo e il Davide di Vienna. Quindi è a Malta, dove lavora al ritratto di Alof de Wignacourt e all'Amorino dormiente della Galleria Pitti, da dove è costretto a recarsi in Sicilia per aver offeso un Cavaliere.


A Siracusa dipinge la Sepoltura di S. Lucia, a Messina l'Adorazione dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro, a Palermo un'altra Adorazione dei pastori. Ma, inseguito dai Cavalieri di Malta, Caravaggio è costretto ad allontanarsi verso il continente, viene ferito a Napoli e dopo essere stato perdonato, tenta il ritorno a Roma. Dopo numerose traversie, imprigionato per errore, persi tutti i suoi averi, muore sulla spiaggia del Tirreno, ormai stanco, avvilito e colpito dalla malaria. Caravaggio rappresenta uno dei cardini fondamentali della pittura italiana ed europea, la sua arte, profondamente classica, segna l'inizio della pittura successiva, sia per il naturalismo nella scelta dei soggetti, sia per il suo particolare luminismo, ottenuto da un gioco di luci che movimenta il dipinto, sintetizzando con pochi elementi tutta l'umanità della sua arte, alla quale si ispirarono poi non solo i caravaggeschi dichiarati, ma i più grandi esponenti della pittura europea successiva, da Vermeer a Rubens, da Rembrandt allo Spagnoletto.

COSI' HANNO DETTO DEI NOSTRI GIOVANI...

                               


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Ultimo aggiornamento:  07-05-09