IL PIO
MONTE DELLA MISERICORDIA
Il Pio
Monte della Misericordia
sorge nel 1602, ad opera di
sette nobili napoletani che
vollero costituire
un'istituzione laica che
esercitasse le opere di
misericordia corporale. La
prima sede, opera di Giovan
Giacomo di Conforto, divenne
ben presto disagevole per il
rapido sviluppo del Monte, e
fu sostituita da quella
attuale, situata sulla
chiassosa e frequentatissima
via dei Tribunali.
L'architetto Francesco
Antonio Picchiatti,
incaricato del progetto nel
1658, dovette affrontare
notevoli problemi di
esiguità spaziale che
risolse dividendo in tre
ordini il disegno della
facciata, con un ampio
porticato proiettato sulla
strada, espressione
dell'accoglienza adottata
dalla pia istituzione e
ricordata dall'iscrizione
del fregio superiore "Fluent
ad eum omnes gentes". Forse
furono gli stessi
committenti ad esigere un
edificio dove prevalessero
elementi di architettura
civile, piuttosto che
religiosa, a conferma della
laicità dell'opera, perciò
la chiesa non è visibile
dall'esterno. La sobrietà e
la compostezza della
facciata esterna sono
replicate dal Picchiatti
anche nel disegno della
chiesa, realizzata a pianta
ottagonale con una cupola a
spicchi a sesto acuto e due
ordini di finestre che
diffondono una luce
rarefatta. Alcuni elementi
di gusto barocco, come le
mensolette su cui poggiano
le lesene dei pilastri, le
singolari acquasantiere, o
il pavimento in cotto
incorniciato da marmi
policromi, si inseriscono
con estro in questo contesto
classicizzante.
LA
QUADRERIA DEL PIO MONTE
DELLA MISERICORDIA
Nei
suoi quattrocento anni di
storia, il sodalizio ha
agito come un «centro
propulsore di cultura» ed ha
raccolto una ragguardevole
collezione di dipinti,
argenti e pianete, mobili ed
elementi d'arredo pregiati e
libri antichi. Il piano
nobile della sede del Pio
Monte ospita la Quadreria,
allestita secondo il
criterio di una casa-museo,
in cui sono esposti la
collezione di dipinti (ca.
150) e altri beni artistici
della congregazione.
L'ingente patrimonio
pittorico è costituito
essenzialmente da tre nuclei
principali di opere: i 41
dipinti di Francesco De
Mura, da egli stesso
lasciati in eredità al Monte
nel 1783, un più cospicuo
gruppo di tele donate da
Maria Sofia Capece Galeota
nel 1938 e i dipinti di
artisti vari commissionati
direttamente per la Chiesa
di Nostra Signora della
Misericordia o diversamente
pervenuti al Pio Monte nel
corso dei secoli.
LA
FONDAZIONE DEL MONTE
Al
principio del Seicento
(1601), sette rampolli di
nobili famiglie cittadine
decisero di aggregarsi per
la "raccolta" di beni a
scopo caritativo.
Inizialmente, la loro
attenzione fu rivolta al
solo Ospedale degli
Incurabili, dove - prima con
frequenza mensile e poi il
venerdì di ogni settimana -
si recavano in coppia a
visitare gli infermi. Essi
stabilirono inoltre che ogni
membro del Monte oltre ad
autotassarsi dovesse anche
occuparsi di seppellire i
poveri morti nelle cave
dell'Ospedale e raccogliere
tra i cittadini più abbienti
le elemosine da devolvere
all'Ospedale. Ben presto il
numero degli associati
aumentò (ma senza superare
gli 80 iscritti), e il 19
aprile 1602 venne stilata la
Capitolazione, l'atto di
fondazione del Sacro Monte
della Misericordia (poi Pio
Monte) formalmente
riconosciuto dal re di
Spagna nel 1603. Da quel
momento in poi i
confratelli, ispirandosi ai
dettami evangelici (Matteo,
XXV, 25, 34), cominciarono a
dedicarsi a tutte le Opere
di Misericordia Corporale,
dando origine ad un’ampia,
articolata e complessa
attività caritativa e
assistenziale basata su
interventi di sussidio
regolari e straordinari a
favore della popolazione
napoletana di "poveri
onesti" e di "poveri
vergognosi". L'accumulo di
fondi, attraverso elemosine,
lasciti, donazioni, ecc.
creò la necessità di
organizzarsi con una
struttura e regole più
specifiche, e fu così che
nacque il "Sacro Monte",
inserendosi tra le molte
istituzioni simili operanti
nel tessuto urbano
napoletano. Seguendo
orientamenti diffusi
dell'epoca, per entrare nel
sodalizio bisognava essere,
non solo uomini "di buona
vita" (come nel caso, per
esempio, del Pio Monte dei
Musici), ma "gentiluomini
ragguardevoli", "convenienti
al decoro del Monte", e vi
si accedeva solo dietro
opportuno consenso della
maggioranza dei confratelli
e dopo aver frequentato per
almeno sei mesi l'opera del
venerdì presso l'Ospedale
degli Incurabili. Singolare
per quei tempi fu poi
l'ammissione delle donne "ma
solo come benefattrici"
sancita nel 1611 dai sette
Governatori del Monte. La
crescita dell'ente e
l'aumento del patrimonio
gestito richiesero la
creazione di una sede "degna
di prestigio": un palazzo
con annessa una Chiesa, per
la quale furono
commissionate opere di
grande valore artistico,
situati nel cuore della
città storica quali segni
essenziali del rilievo
politico-culturale e della
"visibilità" sociale del
sodalizio.
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LA CHIESA
Andrea Malinconico
Madonna della Purità, 1670 ca.
Olio su tela – 185 x 140
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Luca Giordano
Cristo e l’adultera, 1660 ca.
Olio su tela – 180 x 235
Collocato sulla controfacciata della chiesa il
dipinto è una copia fedele di un dipinto di Luca
Giordano conservato in una collezione napoletana. La
donna condannata per adulterio viene scagionata da
Cristo con semplici parole: “Chi di voi è senza
peccato scagli la prima pietra”. La composizione
presenta le figure a mezzo busto tipico delle
rappresentazioni del Mattia Preti ed un colorismo
cupo influenzato dai neoveneti di ascendenza dal
veronese.
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Luca Giordano nacque a Napoli nel 1634. Studiò a
Napoli nella cerchia di
Jusepe de Ribera. Nel 1652 si recò a
Roma, dove venne in contatto con l’ambiente di
Pietro da Cortona. Lavorò ancora a Napoli e poi a
Montecassino, dove lasciò numerosi affreschi tra i
quali: gli affreschi per la cupola di Santa Brigida,
la decorazione per la chiesa e il monastero di San
Gregorio Armeno.
Nel 1667 si recò
a Venezia dove rimase fortemente suggestionato dalla
pittura di Tiziano e dal colorismo di
Veronese.
Dopo un soggiorno
a Firenze tra il 1682 e il 1686, dove eseguì gli
affreschi in palazzo Medici Riccardi, nel 1692 venne
invitato da Carlo II in Spagna dove realizzò i cicli
di affreschi all’Escorial, al Cason di Buen Retiro,
nella sagrestia della cattedrale di Toledo e nel
monastero di Nostra Signora di Guadalupe.
Nel 1704 tornò a
Napoli dove lasciò ancora testimonianze della sua
fervida fantasia: le tele per la chiesa di Santa
Maria Egiziaca a Forcella e gli affreschi della
certosa di S. Martino.
Luca Giordano
morì a Napoli nel 1705
---
Fabrizio Santafede
(Napoli 1560 ca. – 1628)
San Pietro che resuscita Tabitha,
datata 1611
Olio su tela – 206 x 205
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
L’episodio dell’Apostolo che resuscita la
caritatevole donna allude alle opere di dar da
mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati e
vestire gli ignudi, che coincidono con l’attività
istituzionale di Sovvenire i poveri vergognosi.
Maggiore esponente dell’arte tardo manieristica a
Napoli, il pittore fa propria la tradizione
disegnativa fiorentina imbevendola nel colorismo
veneto. L’inusuale affollamento della scena, alcuni
tagli di luce fortemente accentuati, ma soprattutto
la citazione del nudo di spalle, fanno pensare, in
questa tela, ad una meditazione caravaggesca,
raggiungendo, però, come consono al suo stile, toni
comunicativi mai scomposti.
Cristo ospitato in casa di Marta e Maria, 1612
Olio su tela – 310 x 210
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
Rappresenta l’opera
d’Ospitare i
Pellegrini,
traendo spunto dall’episodio evangelico dell’invito
fatto a Gesù da parte di Marta e Maria. Marta
rimprovera la sorella Maria di non occuparsi delle
faccende domestiche; Gesù interviene difendendo
Maria che “ha scelto la parte migliore” fermandosi
ad ascoltare ai suoi piedi la parola di Dio. La
scena sembra concentrarsi sulle tre figure
protagoniste ma brani di ritrattistica dal vero si
aprezzano nelle figure in basso e nelle ‘comparse’
che commentano la scena sul fondo; parte di
un’edificio e un arco completano la scena. Santafede
esprime chiaramente quali sono le sue tendenze
pittoriche: tono narrativo pacato, comunicativo, mai
eccessivamente passionale; anche la luce, chiara e
diffusa a differenza del Caravaggio, si distibruisce
armonicamente in tutto il dipinto; i colori accesi,
brani squillanti di arancio, verde intenso e blu
delle vesti, si accordano con il bianco cangiante
armonizzandosi.
---
Nato a Napoli nel 1560 circa secondo il De Dominici,
è in realtà citato per la prima volta nell'atto di
matrimonio del 1576 e ritenuto già all'epoca "famoso
pittore". Si forma sotto il forte influsso del
senese Marco Pino, operante a Napoli nell'ultima
fase della sua attività. L'impronta del manierismo
toscano, presente soprattutto nelle opere
dell'ottavo e del nono decennio, cede il passo nella
produzione più tarda non solo allo studio dello
stile di Caravaggio, ma anche, e soprattutto, a
quello composto e aggraziato dei pittori riformati
toscani, come Santi di Tito e in particolare il
Passignano, sensibile agli echi della pittura
veneziana.
All'artista, lodato dalle fonti storiche, vengono
assegnate importanti commissioni, come le due tele
della cappella del Monte di Pietà (1603 e 1608), l’Incoronazione
della Vergine (1601-02, chiesa di Santa Maria la
Nova) e la Madonna e santi (1606, Monte
Oliveto). Di rilievo è inoltre l'attività di
ritrattista svolta per la committenza privata. Nella
quadreria dei padri Girolamini sono i Figli di
Zebedeo davanti a Cristo (1625 circa) e la
Lavanda del Bambino, ricordata da De Dominici
(1742) nella biografia del pittore. Dalla ben
organizzata bottega, le sue opere trovano diffusione
in tutta l'area del meridione, ma anche nel nord
Italia e in Spagna. L'ultimo documento certo
concernente Santafede è del 1624.
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Giacomo de Castro
(Sorrento - attivo a Napoli fino al 1687)
Sant’Anna e la Vergine, 1665 ca.
Olio su tela – 185 x 140
---
Giovan Battista Caracciolo detto “Battistello”
(Napoli 1578-1635)
Liberazione di San Pietro, 1615
Olio su tela - 310 x 207
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
I Governatori scelsero per l’esecuzione di questa
tela Carlo Sellitto, tra primi caravaggeschi a
Napoli; ma alla sua morte nel 1614, la commissione
passò a Battistello che fu pagato 100 ducati. Il
soggetto mostra l’opera di Liberare i carcerati.
Dall’ambientazione notturna emergono le figure:
l’angelo accompagna per mano fuori dal carcere
l’apostolo incredulo mentre i soldati in basso
restano assopiti. Sullo sfondo si scorgono appena le
ali dell’angelo, una finestra e una porta a
sinistra. Il gioco di luci ed ombre di Caravaggio si
accompagna ad una definizione disegnativa e
coloristica, accresciuta dai viaggi del pittore a
Roma; non mancano citazioni cinquecentesche, come le
sentinelle riprese da Raffaello o forti richiami del
colorito di Orazio Gentileschi, visibile nei
bagliori argentei della veste dell’angelo. Tra le
più raffinate opere dalla sua produzione, molti
pittori attivi a Napoli nella prima metà del secolo
ne riecheggeranno la composizione.
---
Giovan Battista Caracciolo, detto il Battistello,
diffuse a Napoli la pittura caravaggesca. Nel 1607
al suo arrivo nella città partenopea era già un
pittore di successo. Si dedicò all'affresco cercando
di rendere con questa tecnica i contrasti fra luce
ed ombra. Dopo un viaggio a Roma rese più incisivo
il suo disegno a discapito della luce come nel ciclo
degli affreschi della Certosa di San Martino a
Napoli (1622). Negli ultimi anni della sua vita si
discostò dal caravaggismo per avvicinarsi alle
idealizzazioni del classicismo bolognese.
I tre personaggi sono ritratti su di un fondo scuro
dal quale emergono imponenti, essendo la loro
presentazione effettuata su di un piano molto
ravvicinato che conferisce tra l'altro un'estrema
intensità.
La figura della Madonna, seduta, occupa gran parte
del dipinto, quasi segnandone la diagonale sinistra
alla quale fanno contrapposto, creando piani
sbilanciati, la posizione del piccolo Gesù, in piedi
e con le gambe incrociate, e il busto di S. Giuseppe
che emerge da sinistra. Il gioco compositivo è
sottolineato dal senso della luce che chiude una
struttura a "croce di Sant'Andrea".
La tela è stata segnalata e attribuita da Maurizio
Marini (1981-1982) che ne propone precisi raffronti
con un gruppo di opere dipinte da Battistello in
anni compresi tra il 1615 e il 1630.
Significativo appare il confronto con il Cristo
confortato dall'Angelo del Kusthistorisches Museum
di Vienna e il Riposo Pitti della Galleria Palatina
a Firenze. Il primo per il particolare taglio
compositivo ravvicinato, l'altro per più diretti
confronti di iconografia, essendo pure l'opera
cosentina, tutto sommato, un Riposo nella Fuga in
Egitto.
Con questo, poi, si potrebbero leggere similitudini
fra i volti della Vergine, che ricordano quello
della Madonna d'Ognissanti a Stilo - dove potrebbe
trovarsi anche qualche altro confronto per S.
Giuseppe - e ancora Lot e le figlie a Milano.
Quel che si vuole evidenziare in questi accostamenti
è la partecipazione del nostro dipinto a quegli
elementi che caratterizzano le opere del Caracciolo
dopo il soggiorno toscano del 1618, con particolari
punte di ritorno cinquecentesco e raffaellesco
1.
Si potrebbe, poi, leggere nella posizione della
Madonna cosentina un ricordo di quella della Madonna
della Seggiola di Raffaello.
---
Giovan Bernardo Azzolino
(Cefalù ? 1572 – Napoli 1645)
San Paolino che libera lo schiavo, 1626-1630
Olio su tela – 306 x 210
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
Il dipinto descrive l’attività istituzionale di
Riscattare gli schiavi attraverso la leggenda di San
Paolino,Vescovo di Nola, che offre se stesso al re
dei vandali per il riscatto del figlio di una
vedova. Le due figure centrali occupano quasi
l’intera scena, mentre ai piedi del santo è
prostrato lo schiavo appena liberato dalle catene;
sullo sfondo le donne esultano alzando le braccia al
cielo e una architettura classica incornicia una
Gloria. Lo stile tardo – manieristico di questo
pittore, autore di molte tele d’altare per le più
importanti chiese napoletane, appartiene ai modi
cinquecenteschi nella composizione sebbene non
manchino dei brani naturalistici, come la
definizione luministica sulla schiena dello schiavo
e le ombre riportate sui due bambini ai lati della
scena.
---
Di Giovan Bernardo Azzolino, nato a Cefalù intorno
al 1572 e morto a Napoli nel 1645, abbiamo poi,
nella nostra zona, un discreto numero di lavori. Lo
troviamo, infatti, a Paola, nella Chiesa dei
Cappuccini, con un polittico che raffigura
“L’Immacolata e i Santi Giovanni Battista, Francesco
d’Assisi e di Paola e Santi francescani”; a Cetraro,
ancora in una Chiesa dei Cappuccini, con un
polittico della “Madonna degli Angeli fra i Santi
Francesco d’Assisi, Sebastiano, Antonio e
Benedetto”; a Scalea, nella Chiesa di S.Nicola in
Plateis, con una tela della “Madonna del Carmine tra
i Santi Nicola di Bari e Carlo Borromeo”.
L’Azzolino, che fu peraltro suocero di Jusepe de
Ribera senz’affatto risentirne l’esuberante
personalità stilistica, mantenne sempre la sua arte
“in un suo limbo severo che a volte non supera i
limiti di un convenzionale pietismo” ma che talora
si riscatta in “ricerche di sofisticata eleganza”
(Di Dario Guida).
---
Giovan Vincenzo Forli
(documentato a Napoli dal 1592 al 1639)
Il Buon Samaritano, 1608
Olio su tela – 306 x 205
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
Raffigura la parabola del
Buon
Samaritano:
un viandante dopo una violenta aggressione resta
ferito e ignorato da due passanti; un terzo, invece
si prende cura di lui e lo ricovera presso un
albergo. Il soggetto, quindi, rinvia all’Opera del
Visitare gli
infermi,
primo e fondamentale impegno dei fondatori del Pio
Monte della Misericordia, i quali, probabilmente,
scelsero non a caso questo tema da rappresentare
subito dopo la prima tela di Caravaggio.
Durante la sua vasta attività di pittore, Forlì
riuscì a conciliare diverse maniere: dagli esordi,
legati a Barocci e alla pittura toscana, entrò in
contatto con alcuni pittori fiamminghi napoletani e
con la pittura di Belisario Corenzio; tendenze tutte
visibili nella tela del Pio Monte dove il tema
veneto del paesaggio, ambientata al crepuscolo,
accoglie le figure e le scene narrative sullo
sfondo. Appare qui, però, un elemento nuovo: il
gruppo della Madonna col Bambino sorretto dagli
angeli, un chiaro omaggio al Caravaggio; Forlì, non
poteva ignorare le novità esposte chiaramente
sull’altare maggiore a pochi centimetri dal suo Buon
Samaritano.
---
Giovan Vincenzo D’Onofrio da Forlì,
noto come Giovan Vincenzo Forli, nasce a Campobasso
nella metà del cinquecento. E’ molto attivo a Napoli
tra la fine del cinquecento e gli inizi del
seicento. Nel 1592 è a Napoli. Nel 1594 è console
dell’arte dei pittori insieme ad altri artisti, (tra
cui Teodoro d’Errico). Gli vengono affidati lavori
per la chiesa e il brefotrofio dell’Annunziata.
Oltre che nella chiesa del Pio Monte della
Misericordia, sue opere oggi sono visibili nella
chiesa di Santa Maria del Carmine (una “Madonna
delle Grazie”), nella chiesa dello Spirito Santo
(una “Annunciazione” del 1602), nella chiesa di San
Giovanni a Carbonara (Sant’Orsola e le compagne),
nella chiesa di Santa Maria della Sanità
(“Circoncisione” del 1610). Il Previtali in “La
pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame”
gli attribuisce una “Madonna con Bambino che appare
ai Santi Francesco, Agostino, Biagio e Antonio da
Padova” nella chiesa del Gesù delle Monache. Lo
stesso Previtali dice del Forli che egli “al pari di
altri artisti italiani e spagnoli prima di adeguarsi
alle nuove rivoluzionarie tendenze naturalistiche”,
avrebbe partecipato “al gran corale baroccesco di
fine secolo”. La corrente baroccesca, che prende
nome da Federico Fiori detto il Barocci si sviluppa
in sintonia con un modo di dipingere pastoso. Il
pittore molisano è insomma legato al
tardo-manierismo, come Santafede, caposcuola della
cultura riformata a Napoli, e Azzolino. Tra le opere
più importanti “Il buon samaritano, in cui usa
un’iconografia tradizionale impregnata di ricordi
veneti e fiamminghi.
Nicola Fenico nasce a Campobasso nel seicento. Al
suo nome sono legate soprattutto due opere nella
chiesa del convento di Santa Maria della Libera a
Cercemaggiore (Campobasso): un enorme affresco del
1686 con l’Ultima Cena dai colori vivaci e dal
particolare movimento impresso ai personaggi e una
tela con “Madonna fra santi” del 1687. Della sua
vita si hanno pochissime notizie.
---
Luca Giordano
(Napoli 1634-1705)
Deposizione, 1669 - 1771
Olio su tela – 310 x 210
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
L’opera rappresenta il Seppellimento dei Morti e fu
pagata 200 ducati. E’ firmata e datata sul gradino
in basso Jordanus F. 1671. Il dipinto sostituì la
tela con lo stesso soggetto di Baglione, oggi in
Quadreria, di dimensioni più piccole rispetto alle
altre tele. Echi naturalistici, provenienti dalla
sua formazione con Ribera, si accordano con le
lezioni del barocco romano: Rubens, Pietro da
Cortona, Van Dyck e la pittura veneta arricchiscono
il ricco patrimonio del pittore. La gamma cromatica
dorata, sciolta nei contorni, e i rischiarati
effetti sfumati fanno del dipinto un capolavoro
della produzione centrale del prolifico pittore
chiamato per questo Luca fa presto.
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Luca Giordano nacque a Napoli nel 1634. Studiò a
Napoli nella cerchia di
Jusepe de Ribera. Nel 1652 si recò a
Roma, dove venne in contatto con l’ambiente di
Pietro da Cortona. Lavorò ancora a Napoli e poi a
Montecassino, dove lasciò numerosi affreschi tra i
quali: gli affreschi per la cupola di Santa Brigida,
la decorazione per la chiesa e il monastero di San
Gregorio Armeno.
Nel 1667 si recò
a Venezia dove rimase fortemente suggestionato dalla
pittura di Tiziano e dal colorismo di
Veronese.
Dopo un soggiorno
a Firenze tra il 1682 e il 1686, dove eseguì gli
affreschi in palazzo Medici Riccardi, nel 1692 venne
invitato da Carlo II in Spagna dove realizzò i cicli
di affreschi all’Escorial, al Cason di Buen Retiro,
nella sagrestia della cattedrale di Toledo e nel
monastero di Nostra Signora di Guadalupe.
Nel 1704 tornò a
Napoli dove lasciò ancora testimonianze della sua
fervida fantasia: le tele per la chiesa di Santa
Maria Egiziaca a Forcella e gli affreschi della
certosa di S. Martino.
Luca Giordano
morì a Napoli nel 1705
---
Michelangelo Merisi da Caravaggio
(Caravaggio 1571 - Porto Ercole 1610)
Opere di Misericordia, 1607
Olio su tela – 390 x 260
Committenza:
Pio Monte della Misericordia
Prima commissione per la decorazione della Chiesa
del Monte, pagata 400 ducati. Tappa fondamentale del
primo soggiorno del pittore a Napoli, il dipinto è
tra le sue composizioni più ardite; in alto è
raffigurata la Madonna di Misericordia col Bambino
sorretta dagli angeli, mentre in basso, l’incastro
di figure, con la loro complessa gestualità, allude
simbolicamente alle Opere di Misericordia. Numerose
sono le descrizioni che cercano di spiegare ed
interpretare l’iconografia del dipinto, che sembra
svolgersi proprio in un buio crocevia napoletano;
nella scena si riconoscono: a destra Cimone in
carcere allattato dalla figlia Pero (dar da mangiare
agli affamati e visitare i carcerati); dietro di
loro avanzano un becchino che trasporta un cadavere,
del quale si vedono solo i piedi, seguito da un
sacerdote con una torcia (seppellire i morti); a
sinistra in primo piano, un cavaliere con la piuma,
che ricorda S. Martino, divide il mantello con il
povero raffigurato di spalle che ha accanto un
infermo dalle mani giunte (vestire gli ignudi e
visitare gli infermi); accanto, un uomo dal volto
emaciato con una conchiglia sul cappello, forse S.
Giacomo da Campostela, sembra essere accolto
dall’uomo di fronte (ospitare i pellegrini); tra
questi ultimi due, sul fondo, c’è Sansone che beve
dalla mascella d’asino (dar da bere agli assetati).
L’opera, che fonde citazioni antiche e bibliche,
miseria e nobiltà (Longhi, 1951), esprime tramite
contrasti di luce e ombra una visione diretta della
realtà diventando punto di riferimento per i pittori
locali, legati ad una pittura devota e
tardo-manieristica, aprendo così la nuova stagione
seicentesca del naturalismo a Napoli.
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Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1573 - 1610)
Allievo a Milano di Simone Petranzano, risente in
parte dell'influenza di pittori veneti come Lotto,
Savoldo, Campi, che avevano mitigato il luminismo
veneto con le forme ancora vive dell'arte lombarda.
Recatosi a Roma, conosce momenti di miseria,
lavorando con il Cavalier d'Arpino e con Prosperino
delle Grottesche.
Grazie alla protezione del cardinale dal Monte gli
vengono commissionati dipinti sulla vita di San
Matteo per la chiesa di San Luigi dei Francesi, la
chiamata di S. Matteo, il Martirio di S. Matteo, S.
Matteo e l'angelo (in due edizioni, dopo che la
prima gli viene respinta dai committenti per
eccessivo realismo e che fu conservata a Berlino
fino alla distruzione durante la guerra del
1939-45). Il suo carattere ribelle gli procura noie
con la polizia romana e dopo aver ucciso un giovane
in una disputa è costretto a fuggire a Napoli.
A Roma lascia altre sue opere di grande valore, il
Riposo dalla fuga in Egitto, il Canestro
dell'Ambrosiana, la Maddalena, la Buona ventura, il
ritratto di Maffeo Barberini, la Cena in Emmaus di
Brera, le Madonne dei Pellegrini e dei Palafrenieri,
il Davide della Borghese, le splendide tele della
Conversione di San Paolo e del Martirio di San
Pietro della chiesa romana di S. Maria del Popolo,
la superba Deposizione della Vaticana, la Morte
della Vergine, rifiutata dai committenti, ora
apprezzata al Louvre. Il soggiorno a Napoli è breve,
ma vi esegue i Sette atti di Misericordia per
l'omonimo Pio Monte, la Flagellazione di Cristo e il
Davide di Vienna. Quindi è a Malta, dove lavora al
ritratto di Alof de Wignacourt e all'Amorino
dormiente della Galleria Pitti, da dove è costretto
a recarsi in Sicilia per aver offeso un Cavaliere.
A Siracusa dipinge la Sepoltura di S. Lucia, a
Messina l'Adorazione dei pastori e la Resurrezione
di Lazzaro, a Palermo un'altra Adorazione dei
pastori. Ma, inseguito dai Cavalieri di Malta,
Caravaggio è costretto ad allontanarsi verso il
continente, viene ferito a Napoli e dopo essere
stato perdonato, tenta il ritorno a Roma. Dopo
numerose traversie, imprigionato per errore, persi
tutti i suoi averi, muore sulla spiaggia del
Tirreno, ormai stanco, avvilito e colpito dalla
malaria. Caravaggio rappresenta uno dei cardini
fondamentali della pittura italiana ed europea, la
sua arte, profondamente classica, segna l'inizio
della pittura successiva, sia per il naturalismo
nella scelta dei soggetti, sia per il suo
particolare luminismo, ottenuto da un gioco di luci
che movimenta il dipinto, sintetizzando con pochi
elementi tutta l'umanità della sua arte, alla quale
si ispirarono poi non solo i caravaggeschi
dichiarati, ma i più grandi esponenti della pittura
europea successiva, da Vermeer a Rubens, da
Rembrandt allo Spagnoletto. |